16/05/2012
Maldonado festeggiato da Alonso e Raikkonen (foto del servizio: Reuters).
Si sono verificati ultimamente alcuni casi di forte umanizzazione dello sport più ricco, cioè almeno in Europa quello dei motori e quello del calcio.
Nell’automobilismo di Formula 1 ha vinto il suo primo Gran Premio un venezuelano di 27 anni, Pastor Maldonado (nome arcadico e “povero”, cognome che contiene un senso di iella), il quale in un anno e rotti di gare nel circus aveva raccolto soltanto un sesto posto su 23 gare. Il presidente del suo paese, il celebre Chavez, dopo avergli fatto dare, da capitalista, 35 milioni di euro dell’azienda petrolifera di Stato per comprarsi un posto su una Williams, da populista ha parlato di vittoria di tutta la povera gente del suo Paese.
Intanto, grazie al secondo posto a Barcellona, lo spagnolo Ferdinando Alonso su Ferrari è salito al primo posto della classifica iridata, affiancando il tedesco Sebastian Vettel su Red Bull, campione mondiale negli ultimi due anni e proclamato dagli esperti imbattibile all’inizio di una stagione che ha visto cinque vincitori diversi in cinque gare. Alla vigilia lo stesso Alonso aveva scartato nel suo pronostico un ottimismo legabile a grandi progressi della rossa di Maranello, che invece è andata bene, quasi benissimo.
Lì dove si pensava che le tecnologie costosissime avessero imposto le loro leggi, permettendo pronostici chiari e garantendo noia opaca, c’è dunque spazio per gli uomini e le loro “povere” invenzioni , per il venezuelano brutto anatroccolo e per lo spagnolo persino più modesto che ricco, più modesto che bravo (e bravo lo è, eccome), che parla l’italiano della buona gente, se non si autopronostica non lo fa certamente per pretattica, se si trova in testa alla classifica iridata non si esalta.
Intanto nel motociclismo “fratello”, quello detto Gp, Valentino Rossi consuma con calma il rito del suo (forse) tramonto di 33enne che ha dato tanto: polemiche zero (o poco più) nei riguardi della Ducati che non solo non gli dà quella moto che invece dà a Hayden (ma qui potrebbe esserci un concorso di colpa del Dottore, che non può più essere lo spavaldo domatore di bolidi che era). Comunque nessun isterismo, nessun pianto troppo facile, e però molta umanità, miliardaria ma sempre umanità, e magari ancora più vera, sicuramente più difficile da frequentare.
Il calcio è entrato alla grande nella competizione lacrimogena, per l’ultima giornata di campionato. Grande pianto di popolo a Torino per l’addio di Alessandro Del Piero alla Juventus (c’è ancora la Coppa Italia, domenica a Roma contro il Napoli, ma da noi conta poco, e poi lui ha il ginocchio gonfio), pianto anche di Del Piero, però più contenuto non solo di quello dei suoi tifosi, ma di quello dei suoi stessi compagni di squadra. E bisognerà riparlare del nitido rapporto fra un uomo e una tifoseria, del complesso rapporto fra un uomo e un allenatore che ha giocato con lui e che forse ha compiuto un capolavoro di dosaggio di forze residue, di fronte ad un problema, delicatissimo e vitale per la squadra, nonché dello strano rapporto fra un uomo e un club, un uomo e una dirigenza.
Forse non capiterà nulla, forse la separazione non avrà niente di chirurgico, ma potrebbe anche accadere di tutto, nel bene come nel male: non scriviamo così per paura di violare segreti o per ignoranza dei fatti, ma perché siamo certi che neanche loro, i protagonisti della separazione stessa, sanno come andrà a finire la sinora sin troppo bella storia.
Pianto anche a Milano, nell’addio del Milan di un po’ troppi giocatori insieme: Nesta e Gattuso e Inzaghi e Zambrotta e Van Bommel... Tutti lasciano in lacrime, tutti potrebbero continuare magari con la stessa maglia ma proprio non ce la fanno (o non ce la debbono fare…), tutti hanno dato molto e adorano adorati il rossonero, ma l’età e non solo detta le sue leggi. Qualcuno di loro giocherà lontano dall’Italia, qualcuno forse si farà sedurre dal denaro/o dalla vetrina e giocherà persino contro il Milan. Vedremo, vedrete. Comunque nel calcio attuale rigoglioso di truffe e arido di onestà ogni lacrima vera può essere benedetta, ogni lacrima vera può essere acqua lustrale. Con qualche dubbio per le lacrime che stanno per versare i colpiti, uomini e club, dalle sentenze prossime venture di Scommessopoli.
E però anche con soddisfazione “internazionale” per lacrime italiane di gioia in Inghilterra: due allenatori, due Roberti, Mancini campione con il Manchester City dopo un finale di pathos enorme, Di Matteo finalista di Champions League con il Chelsea sabato contro il Bayern, e proprio a Monaco di Baviera. E Mancini che, ingrigito, fa festa avvolto nel tricolore, così come il suo giocatore Mario Balotelli, grande e matto, “de noantri”, anche se ha la pelle nera che nel Bel bruttissimo Paese disturba ancora qualcuno.
Gian Paolo Ormezzano