11/05/2013
Guglielmo Epifani, l’ex segretario della Cgil, all'Assemblea nazionale del Partito democratico (Ansa).
Per traghettare il Partito
Democratico verso il congresso che ne sancirà il mutamento (o la fine)
l’assemblea nazionale ha scelto Guglielmo Epifani, l’ex segretario della Cgil
che aveva guidato il sindacato al principio del terzo millennio. Dunque per guidare una tregua politica si è scelta la situazione di un "esterno" proveniente dalla riserva nobile del sindacato. Una scelta che
bilancia la presenza del vicesegretario Enrico Letta, di area cattolica popolare, al
Governo. Epifani ha ottenuto la maggioranza quasi plebiscitaria (534 voti su
593), ma è chiaro che l’uomo “di transizione” del Pd rappresenta più l’area post
comunista del partito che l’anima cattolico-popolare, che pure esiste.
Già tra
il vecchio Pci e il sindacato di Di Vittorio e Lama c’è sempre stata una sorta
di collateralismo pur nel rispetto dei diversi ambiti. E infatti i suoi leader,
cessato l’incarico, andavano a collocarsi quasi spontaneamente tra le fila del
Pci in ruoli di alto profilo, anche se quasi mai di governo.
A questo “patriarca” del
sindacalismo gradito soprattutto al vecchio apparato delle sezioni (ma anche dalla componente “renziana”) il compito di ricomporre le
mille frizioni che albergano dentro i “democrat”, realizzando quella sintesi
che a Pierluigi Bersani non è riuscita. Un ricambio generazionale, forse, più
ampio e meno di facciata di quella del suo predecessore, nell'orizzonte dei vecchi e nuovi problemi del Paese, ma anche (copyright di Veltroni) nel tentativo di portare avanti quella
“fusione fredda” tra cattolici e socialdemocratici mai realizzata, esplosa con le elezioni presidenziali, o
quantomeno di arrestare una scissione o addirittura una frantumazione che fino
a pochi giorni fa sembrava inevitabile.
Quanto agli obiettivi del
partito sul piano delle idee e dei valori, la stessa biografia di Epifani rappresenta
le priorità della sua agenda: il lavoro, soprattutto, nelle sue declinazioni generazionali e
sociali, con i suoi diritti (e i suoi doveri) e la necessità di riportarlo al
centro della questione politica per rilanciare il Paese. Già dalle prime
battute è chiaro che Epifani metterà in atto una sorta di dialettica interna
all’alleanza di Governo, a quelle larghe intese che sembrano cigolare di giorno
in giorno. Già la sua prima staffilata al Pdl parla chiaro: “Questa è una
giornata in cui qualcuno a Brescia sta tornando a mettere una mina. Bisogna capire se questo è un governo negli interessi del
Paese o si antepongono gli interessi di una persona a quelli del Paese».
Il rischio maggiore, per Epifani, è proprio quello di alzare una tensione già alta tra le due anime di Governo. Una tensione che rischia di
mettere fine a un’esperienza cruciale e delicatissima cominciata
pochi giorni fa dal suo giovane compagno di partito per arginare la marea dell'antipolitica e soprattutto ritornare allo sviluppo e alla ripresa del Paese. Un sentiero molto stretto che il nuovo segretario del Pd dovrà attraversare, continuando ad appoggiare questa strana maggioranza di governo e contemporaneamente facendo di tutto per distinguersi (spesso radicalmente) in idee e valori rispetto all'avversario-alleato.
Francesco Anfossi