18/12/2011
Nel fotomontaggio, il presidente Monti nei panni di Super Mario.
Come mai Super Mario Monti, l’ex granitico commissario europeo alla Concorrenza, l’uomo che non cedette di un passo di fronte a multinazionali americane protette dalla Casa Bianca, con un fatturato pari al Pil dell’Olanda, ha dovuto arretrare di fronte alla categoria dei tassisti? Il suo Governo infatti non è riuscito a liberalizzare le licenze, come del resto non riuscirono i suoi predecessori Berlusconi e Prodi. Ce l’ha fatta con le farmacie, con una mossa che ha scatenato il finimondo ma che abbasserà i prezzi dei farmaci del 30 per cento. Ha abolito le pensioni di anzianità, tenendo botta non tanto alle allegre comari della Lega in Parlamento, ma a tutte e tre le potentissime confederazioni sindacali cui fanno capo più di dieci milioni di iscritti. Ha imposto una tassa sulla casa a tutti gli italiani, o quasi. Ha decretato con polso fermo accise sulla benzina tali da rendere un litro di benzina equivalente a una bottiglia di Barolo. Ma coi tassisti no, niente da fare, restano quanti sono, con le loro licenze, non una di più. Il decreto è scivolato come pioggia sul parabrezza. Come nella tamurriata i governi contro i tassisti fanno un passo avanti e uno immediatamente indietro.
Su questa piccola potente categoria va fatta un premessa importante. Trattasi di lavoratori seri, che fanno un mestiere usurante, anche se non è riconosciuto. Eroi metropolitani che ogni giorno si cimentano con il traffico impossibile delle città. Gente che a costo di sacrifici spesso si è indebitata per ottenere licenze che valgono la fatica di una vita, e che costituiscono una liquidazione quando vanno in pensione. Operai del volante che si trascinano dietro malattie professionali di ogni genere (patologie della spalla, del collo e della schiena, guai cardiovascolari, emicranie e cefalee). Per non parlare dello stress cui vengono sottoposti e alla violenza di cui sono potenziale oggetto (come non ricordare il martirio del tassista ucciso perché aveva investito suo malgrado un cane sfuggito al guinzaglio?). Onore e rispetto dunque, per un nobile mestiere.
Il punto è un altro. Tralasciamo pure le diatribe sulla qualità del servizio (quelli italiani sembrano essere tra gli ultimi d'Europa). Ma non si capisce perché, di fronte ai tanti sacrifici cui sono stati sottoposti quasi tutte le categorie degli italiani, i tassisti debbano essere esentati. La liberalizzazione delle licenze non significherebbe perdere il lavoro, ma rinunciare a posizioni di privilegio, alla perdita di una percentuale del loro fatturato che potrebbero riconquistare con qualche corsa in più. A nessuno piace compromettere il proprio business e il proprio reddito. Ma non è piaciuto nemmeno agli statali vedersi congelato lo stipendio per tre anni (il che significa che l’inflazione glielo mangerà per una percentuale che andrà dal dieci al venti per cento). E non è piaciuto a un infermiere che stava per andare in pensione doversi dedicare alla sala operatoria alla cura di un reparto per altri anni. Non è cosa gradita per un pensionato che guadagna come e meno di un tassista dover rinunciare all’indicizzazione della sua pensione (mentre il tassista può sempre ricaricare l’aumento).
La liberalizzazione delle licenze (o almeno una loro maggiore estensione, tenendo conto di vincoli e protezioni, magari arrivando a una mediazione "creativa", perché nessuno vuole ridurre sul lastrico o proletarizzare la categoria) porterebbe indubbi vantaggi per la collettività. Per i clienti innanzitutto: le comparazioni internazionali dimostrano che i taxi sono pochi e le tariffe sono ancora alte rispetto alla media europea, in rapporto al costo della vita. A New York con cinque dollari ti giri tutta Manhattan e ci sono più taxi che auto. E in Italia? Lo scrittore Luciano De Crescenzo diceva che a Napoli si poteva prendere un taxi solo per andare in ospedale, ma attenzione: solamente in caso di fratture ad arti inferiori (per fratture ad arti superiori invece c’era il bus). La situazione non è molto diversa nel resto del Paese. Si dice che il prestito per le banche è come un ombrello che ti mettono a disposizione quando fa bello e ti tolgono quando piove. Spesso per il taxi è la stessa cosa. Provate a cercare un taxi in una giornata piovosa a Milano, magari durante un appuntamento fieristico o nel periodo natalizio.
Più licenze inoltre significa più posti di lavoro. In un’Italia con un giovane su tre disoccupato, anche i tassisti devono fare la propria parte e mollare spazi e privilegi. Resta da chiarire il perché di un tale potere. Per certi aspetti è un mistero. La categoria dei tassisti ha certo il potere di interdizione del traffico, ma no può bastare. Forse i politici temono i tassisti perché i taxi sono delle piccole centrali di propaganda: tengono il cliente per dieci minuti e possono intrattenerlo con qualsiasi argomento, portando in giro non solo persone ma anche idee, opinioni politiche, a volte leggende metropolitane, temutissime dagli amministratori. Sono dei veri e propri terminali sociali. Possono riflettere, senza generalizzare, la pancia del Paese. Il candidato sindaco Pisapia capì che a Milano il vento era cambiato e che ce l’avrebbe fatta a battere la Moratti proprio dalle mutate opinioni dei tassisti. Veltroni cercava di non accarezzarli mai contropelo. Alemanno idem. Monti promete di ritornare all'attacco a gennaio, extramanovra. Vedremo come andrà a finire. Uno come Super Mario, l'uomo che sta facendo una corsa contro il tempo per salvare l'Italia, non dovrebbe fermarsi di fronte a un tassametro.
Francesco Anfossi