Veltroni, i perché di un addio

La decisione di non ricandidarsi alle prossime elezioni parlamentari ha provocato un effetto a catena. Una presa d'atto che si può leggere in molti modi.

16/10/2012
Massimo D'Alema (Ansa).
Massimo D'Alema (Ansa).

Stavolta niente “ma anche”. Ha mollato e basta. Ha annunciato che non si ricandiderà alle prossime elezioni politiche. Un addio. Un arrivederci. Un harakiri politico. L'aspirazione a diventare uno dei padri nobili della sinistra. Una mossa, anzi una contromossa strategica contro il rottamatore Renzi. Una presa di posizione politica, come la definisce Lucia Annunziata. Le interpretazioni sulla decisione di Walter Veltroni di lasciare il Parlamento alla fine della legislatura sono svariate, alcune anche stravaganti. Lui dice che si fa da parte non perchè lo vuole rottamare Renzi ma perché vuole favorire il rinnovamento nel partito. Fatto sta che Veltroni, uscendo dall'arena e togliendosi la polvere dai calzari, ha scompaginato tutto il Pd.


Le conseguenze sono state importanti e decisive: Luigi Castagnetti e Livia Turco ne hanno seguito l’esempio. Massimo D’Alema, l’eterno amico-rivale, ha dovuto ricorrere a una sorta di mozione degli affetti ("mi ricandido se il popolo dei democratici me lo chiede") peraltro accolta con freddezza dal segretario Pierluigi Bersani, certamente meno gravato dall'ombra di Veltroni nella corsa alle primarie. Ed è come se Veltroni si fosse sacrificato come un kamikaze per fermare Renzi, che col suo camper avanzava a tappe forzate verso la candidatura alle primarie (i sondaggi del sindaco di Firenze erano in costante aumento) e ormai faceva paura a tutta la nomenclatura.


In realtà come spiega acutamente la direttrice dell’Huffington Post Lucia Annunziata, la decisione veltroniana “ha implicazioni che toccano un po’ tutto il sistema”. In un momento in cui la considerazione della politica da parte degli italiani, di Centrosinistra come di Centrodestra, è ai minimi termini. Nel farsi da parte di Veltroni non c'è solo un esempio di coerenza morale e di disinteresse per la politica come professione a tempo pieno. C’è anche l’inequivocabile riconoscimento che una certa generazione politica, quella che ha calcato le scene della Seconda Repubblica (ma spesso anche della Prima) dovrebbe farsi da parte e lasciare il futuro a quei trentenni e quarantenni che sembrano schiacciati dagli ex sessantottini.


Ma anche (prendiamo in prestito quest'espressione veltroniana) la presa d'atto che il candidato alle primarie Matteo Renzi rappresenta un problema serio per il futuro assetto del Pd. Il resto lo ha fatto la sua personalità poliedrica, mai totalmente politica, culturalmente ibrida, dialogante con tutti, spesso e volentieri più giornalistica che politica. Il suo addio è l’addio di una generazione? Questo no. O almeno, non ancora. Ma con Veltroni le suggestioni e i simboli sono importanti. Il suo addio va al di là della sua esperienza ed è un messaggio a un’intera classe politica.

 

Francesco Anfossi
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Postato da giogo il 25/10/2012 11:02

Questo è un regalino che voglio fare ad un fanatico sostenitore del Berlusca (La Stampa,Gramellini)Sic"" Berlusconi, il centravanti che scelse la panchina Massimo Gramellini L’Italia è sempre il Paese che ama. Solo che adesso ha deciso di amarla in modo diverso. Non più da giocatore ma da allenatore, la sua passione fin dai tempi dell’Edilnord. Fra il Discorso della Discesa in Campo e quello del Passo Indietro sono passati diciotto anni. Siamo tutti più anziani, anche lui, più spelacchiati e più poveri, tranne lui. Diciotto anni e la stessa metafora calcistica. Allora «scendeva in campo per costruire il nuovo miracolo italiano». Oggi si accontenta di «rimanere al fianco dei più giovani che devono giocare e fare gol». Vista dal campo o dalla panchina, l’Italia di Silvio non cambia: resta un enorme stadio di sua proprietà. La Discesa in Campo fu affidata a una videocassetta girata nel parco di Macherio davanti a una finta libreria e accanto a un ammasso (mai inquadrato) di calcinacci, che a qualcuno ricordavano un cantiere, ad altri un cumulo di macerie. Per il Passo Indietro, invece, l’uomo delle televisioni ha scoperto il fascino del web, inviando una lettera elettronica dove anche i «po’» si adeguano alla modernità e barattano il timido apostrofo con un più assertivo accento: «Ho ancora buoni muscoli e un pò di testa». Un’altra videocassetta avrebbe prestato il destro a paragoni impietosi con lo smilzo imprenditore berluscottimista che nel 1994 invitava gli italiani a diffidare «di profeti e salvatori» e ad affidarsi a «una persona capace di far funzionare lo Stato». Quell’affermazione, condivisibile, fu probabilmente equivocata: molti votarono il profeta-salvatore credendo fosse la persona capace di far funzionare lo Stato. Purtroppo lo Stato si è rivelato sordo alle intimazioni berlusconiane e diciotto anni dopo funziona peggio di prima. Né ci sono tracce di quell’Italia «più giusta, più generosa, più prospera, più serena, più efficiente e più moderna» che il Più Silvio promise solennemente fra i calcinacci di Macherio. Cosa è rimasto della telenovela di allora nel discorso del Passo Indietro? Praticamente tutto. Lo spirito, i toni, i nemici. Berlusconi è un maestro nel presentarsi come uno che ricomincia sempre. Il suo non è mai il discorso del reduce, ma del precursore. E della vittima. Nella storia d’Italia secondo Silvio gli ultimi decenni sono stati una guerra fra due schieramenti: da un lato le perfide corporazioni di burocrati, giornalisti, lobbisti e magistrati, conservatori arroccati nella difesa di privilegi antidemocratici. Dall’altro lui, il Libertador, marchiato come populista perché alfiere del «voto popolare conquistato con la persuasione che crea consenso». Persuasione: attività affascinante ma pericolosa, quando a esercitarla è l’uomo più ricco d’Italia, l’unico dotato di tre canali televisivi nazionali e gratuiti. Invece per Silvio è stata «la riforma delle riforme», che ha reso «viva, palpitante ed emozionante la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini». Qui l’uomo si sottovaluta. Di viva ed emozionante, ma soprattutto palpitante, in questi anni c’è stata soltanto la sua vita notturna. Purtroppo quel palpito «non poteva che avere un prezzo»: l’odio verso di lui, trasformatosi come nei film horror in una «sindrome paralizzante», il cui antidoto è stata «la scelta responsabile di affidare la guida provvisoria del Paese al senatore Monti». Berlusconi protegge il suo successore, quasi volesse farlo un po’ (o un pò) suo. Non è il preside bocconiano il nemico da indicare ai giovani eredi, ma l’Europa colonizzatrice della Merkel e, come diciotto anni fa, la sinistra. Che nel discorso della Discesa in Campo si ispirava a Michele Santoro e voleva trasformare l’Italia «in una piazza urlante che grida che inveisce e che condanna», mentre in quello del Passo Indietro sembrerebbe richiamare in vita, se non Stalin, almeno Breznev perché «vuole tornare alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto l’esplosione del Paese corporativo e pigro che conosciamo». Una sinistra composta da «uno stuolo di professionisti di partito educati (come metà della nomenclatura pidiellina, ndr) nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento». E’ proprio per impedire ancora una volta che l’Italia liberale cada nelle mani dei comunisti che Silvio B ha deciso di fare un passo indietro e assistere da bordo campo alle primarie che incoroneranno il suo successore. «Quel che spetta a me è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività». E qui, visto che viviamo ancora in un Paese liberale, chiunque lo conosce è libero di mettersi a ridere. Berlusconi, il centravanti che scelse la panchina Massimo Gramellini L’Italia è sempre il Paese che ama. Solo che adesso ha deciso di amarla in modo diverso. Non più da giocatore ma da allenatore, la sua passione fin dai tempi dell’Edilnord. Fra il Discorso della Discesa in Campo e quello del Passo Indietro sono passati diciotto anni. Siamo tutti più anziani, anche lui, più spelacchiati e più poveri, tranne lui. Diciotto anni e la stessa metafora calcistica. Allora «scendeva in campo per costruire il nuovo miracolo italiano». Oggi si accontenta di «rimanere al fianco dei più giovani che devono giocare e fare gol». Vista dal campo o dalla panchina, l’Italia di Silvio non cambia: resta un enorme stadio di sua proprietà. La Discesa in Campo fu affidata a una videocassetta girata nel parco di Macherio davanti a una finta libreria e accanto a un ammasso (mai inquadrato) di calcinacci, che a qualcuno ricordavano un cantiere, ad altri un cumulo di macerie. Per il Passo Indietro, invece, l’uomo delle televisioni ha scoperto il fascino del web, inviando una lettera elettronica dove anche i «po’» si adeguano alla modernità e barattano il timido apostrofo con un più assertivo accento: «Ho ancora buoni muscoli e un pò di testa». Un’altra videocassetta avrebbe prestato il destro a paragoni impietosi con lo smilzo imprenditore berluscottimista che nel 1994 invitava gli italiani a diffidare «di profeti e salvatori» e ad affidarsi a «una persona capace di far funzionare lo Stato». Quell’affermazione, condivisibile, fu probabilmente equivocata: molti votarono il profeta-salvatore credendo fosse la persona capace di far funzionare lo Stato. Purtroppo lo Stato si è rivelato sordo alle intimazioni berlusconiane e diciotto anni dopo funziona peggio di prima. Né ci sono tracce di quell’Italia «più giusta, più generosa, più prospera, più serena, più efficiente e più moderna» che il Più Silvio promise solennemente fra i calcinacci di Macherio. Cosa è rimasto della telenovela di allora nel discorso del Passo Indietro? Praticamente tutto. Lo spirito, i toni, i nemici. Berlusconi è un maestro nel presentarsi come uno che ricomincia sempre. Il suo non è mai il discorso del reduce, ma del precursore. E della vittima. Nella storia d’Italia secondo Silvio gli ultimi decenni sono stati una guerra fra due schieramenti: da un lato le perfide corporazioni di burocrati, giornalisti, lobbisti e magistrati, conservatori arroccati nella difesa di privilegi antidemocratici. Dall’altro lui, il Libertador, marchiato come populista perché alfiere del «voto popolare conquistato con la persuasione che crea consenso». Persuasione: attività affascinante ma pericolosa, quando a esercitarla è l’uomo più ricco d’Italia, l’unico dotato di tre canali televisivi nazionali e gratuiti. Invece per Silvio è stata «la riforma delle riforme», che ha reso «viva, palpitante ed emozionante la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini». Qui l’uomo si sottovaluta. Di viva ed emozionante, ma soprattutto palpitante, in questi anni c’è stata soltanto la sua vita notturna. Purtroppo quel palpito «non poteva che avere un prezzo»: l’odio verso di lui, trasformatosi come nei film horror in una «sindrome paralizzante», il cui antidoto è stata «la scelta responsabile di affidare la guida provvisoria del Paese al senatore Monti». Berlusconi protegge il suo successore, quasi volesse farlo un po’ (o un pò) suo. Non è il preside bocconiano il nemico da indicare ai giovani eredi, ma l’Europa colonizzatrice della Merkel e, come diciotto anni fa, la sinistra. Che nel discorso della Discesa in Campo si ispirava a Michele Santoro e voleva trasformare l’Italia «in una piazza urlante che grida che inveisce e che condanna», mentre in quello del Passo Indietro sembrerebbe richiamare in vita, se non Stalin, almeno Breznev perché «vuole tornare alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto l’esplosione del Paese corporativo e pigro che conosciamo». Una sinistra composta da «uno stuolo di professionisti di partito educati (come metà della nomenclatura pidiellina, ndr) nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento». E’ proprio per impedire ancora una volta che l’Italia liberale cada nelle mani dei comunisti che Silvio B ha deciso di fare un passo indietro e assistere da bordo campo alle primarie che incoroneranno il suo successore. «Quel che spetta a me è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività». E qui, visto che viviamo ancora in un Paese liberale, chiunque lo conosce è libero di mettersi a ridere.

Postato da Vincenzo Alias Il Contadino il 17/10/2012 11:36

Rottamatori e rottami Pensiero maligno verso una persona giovane,vecchio o di qualsiasi sesso anche se incerto,ma si deve accettare le sue qualità:su D'Alema che cosa dire se come Politico è stato solo un disastro per il Paese,anzi,non è stato per niente Democratico restando,sempre Comunista in balia dell'invidia dei beni altrui che se fosse stato in Cina o Cuba sarebbe stato fucilato il giorno dopo:1° per aver fatto bombardare i Balcani,senza l'autorizzazione del Parlamento,2°aver disarcionato un Politico della sua stessa colazione eletto Democraticamente dai cittadini anche se,cchiste per l'Europa e per il Paese è stato un disastro:averci propinato il“SOLDATO EURO”che per la sua protezione ad ogni cittadino,è costato la tredicesima per chi la riceve,alle Aziende,la chiusura e talvolta la vita,da Presidente dell'Iri ci ha svenduto i gioielli di Stato,vedi la SME:senza tanto ritegno e chissà perchè lo premiano lungo il suo cammino da Camaleonte da ex Demo-Cristiano o ex agente del Kgb? http://qn.quotidiano.net/politica/2012/10/16/787513-pd-rottamare-marini-dalema-veltroni-renzi-candidature.shtml?utm_source=mrsend&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter

Postato da martinporres il 16/10/2012 20:29

Il parlamento ormai conta poco, domina l'esecutivo, ne è testimonianza l'elevato numero di voti di fiducia. Veltroni, che è un uomo di grande esperienza, si è reso conto di avere, in un futuro parlamento, pochissimo spazio se non quello di ratificare decisioni prese da altri. Penso che sia questo, innanzitutto, il motivo della sua decisione.

Postato da Norberto il 16/10/2012 20:09

Concordo con Anfossi quando dice che "l’inequivocabile riconoscimento che una certa generazione politica... dovrebbe farsi da parte e lasciare il futuro a quei trentenni e quarantenni che sembrano schiacciati dagli ex sessantottini" però avrei gradito un "azzardo" una parola per i nuovi 30enni e 40enni. Renzi&Company non sono il mio esatto ideale di impegno politico in quanto a troppo disposti a "sporcarsi le mani" fino a un punto che non condividerei. Grazie N_

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