05/11/2011
Genova, la tragedia dell'alluvione. Foto Ansa.
Genova, dal nostro inviato
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Genova, il giorno dopo. Sotto un cielo di piombo e la pioggia che continua a cadere, nelle vie devastate dalla furia della piena è un pullulare di mezzi di soccorso, di ruspe, di squadre di vigili del fuoco, polizia, carabinieri, protezione civile. La gente spala fuori il fango dai negozi e dalle cantine con quello che ha.
Resta il fango e centinaia di automobili ammonticchiate le une sulle altre. Dalla zona di Brignole percorriamo corso Sardegna e poi, più su, via Fereggiano, il luogo più colpito, dove sono morte le sei vittime, fra cui due bambine, di questa ennesima alluvione ligure.
Ieri la paura, oggi la consapevolezza della dimensione del disastro, dei danni subiti, del dover ricominciare. Genova medica le sue ferite. Dieci anni fa si riparavano le devastazioni della furia umana dei black bloc del G8, oggi di quelli della natura, ma anche dell’incuria verso le montagne e della cementificazione della città.
Risaliamo via Fereggiano, che sale verso le colline. In parte la strada costeggia il torrente, in parte ci passa sopra, perché per lunghi tratti è stato coperto dalla strada. Ci fa da guida Luca Moro, che in via Fereggiano ci abita. «Ci è andata bene», dice. «Vedi, ieri mio figlio ha lasciato qui il motorino perché ha visto l’onda di piena che arrivava ed è corso su a mettersi in salvo».
Lo scooter, ovvimente, non c’è più. «Mia moglie», continua, «era nell’“androne della morte”. Il destino o la fortuna hanno voluto che se ne andasse via cinque minuti prima che l’ondata di piena trascinasse via le quattro persone che sono morte». Ci arriviamo a quell’androne. È in un palazzo che dà le spalle alla strada, e proteggeva dall’ondata d’acqua. Per questo in tanti s’erano rifugiati lì davanti. «Poi l’acqua ha cominciato a salire, sempre più alta e sempre più impetuosa. Ci saranno state non meno di cinquanta persone. Quelle quattro non ce l’hanno fatta a mettersi in salvo sulle scale».
Genova, la tragedia dell'alluvione. Foto Ansa.
A poche decine di metri c’era un’edicola, portata via dalle acque: un’altra delle vittime ci stava dentro.
È un susseguirsi di rottami, auto fracassate, detriti. E grossi macigni, molti dei quali provenienti dal parapetto in cemento della strada, nella parte alta. Lassù si capisce la ragione di tanta furia. Da soli tre anni è stata prolungata la copertura di un tratto del torrente: un tratto in forte pendenza, canalizzato con cemento.
È qui, all’uscita del tunnel che fa da alveo del fiume che la piena ha scatenato tutta la sua forza devastante: i parapetti non ci sono più, automobili e detriti trascinati dalle acque da questo punto in poi hanno fatto da tritasassi fino a giù, dove la piena ha trovato sfogo spandendosi su corso Sardegna, piazza De Ferraris e le vie intorno.
«L’anno scorso è toccato a Sestri e al Ponente, quest’anno al centro città, l’anno prossimo vedremo a chi tocca», conclude amaramente Luca Moro. «Dobbiamo cominciare a pensare diversamente: il clima sta cambiando, le piogge arrivano improvvise e intensissime. Non è un’emergenza dovuta a fatti straordinari, è la normalità di una situazione climatica e ambientale d’emergenza».
Genova, una laterale di piazza De Ferraris (Foto Scalettari)
È dello stesso avviso Antonio Bruno, capogruppo di Rifondazione comunista in Consiglio comunale di Genova: «Non c’è dubbio», dice, «che il nubifragio è stato violentissimo, si parla di oltre 300 millimetri d’acqua in poche ore. Il problema è che il fenomeno si ripete sempre più frequente. Dobbiamo attrezzarci a convivere con questa nuova situazione climatica e a prevenire i disastri. Come? Rinaturalizzando il territorio e i corsi d’acqua, ed evitando di cementificare ancora».
«Dobbiamo realizzare in fretta le opere più urgenti, a partire da quelle ralisticamente più fattibili», spiega. «Un esempio? Da 15 anni si parla di allargare l’alveo sotterraneo del Bisagno, a valle della zona colpita, proprio nel corso finale del fiume, sotto l’ampio Corso Brigate partigiane. Eppure tra finanziamenti in ritardo e burocrazia infinita non si è ancora fatto. Il rischio è che su questo disastro speculi il “partito delle grandi opere”, quello che spinge ad esempio, per la costruzione dello scolmatore per far defluire le acque nei momenti di massima piena. Un’opera da 250 milioni di euro, per la quale non si sa se ci sono e quando si potranno mettere insieme i fondi. Occorre partire prima da interventi molto meno costosi, ma efficaci per contenere le conseguenze di nubifragi come questo: rimboschimenti, riordino delle vallate, riconsolidamento per la tenuta del terreno. E, ancora, interventi per evitare che l’acqua precipiti con violenza negli alvei cementificati dei corsi d’acqua. Interventi alla portata delle risorse che abbiamo, ed efficaci per evitare catastrofi».
Luciano Scalettari