02/10/2012
Vladimir Putin allo stadio durante una partita dello Zenit (foto del servizio: Reuters).
Il potere per il potere. E null’altro. Il potere per sentirsi invincibili e difendere i propri interessi. Il potere da sbattere in faccia ai nemici, provando ad annientarli. Silvio Berlusconi e Vladimir Putin lo esercitano così, con le dovute differenze. E il calcio a volte è uno strumento, altre volte un esercizio. Amici contro, in Champions League. Zenit San Pietroburgo da una parte, Milan dall’altra. Se Berlusconi del Milan è il padrone, Putin dello Zenit è sponsor ancor prima che tifoso. Il calcio, inteso come esercizio di potere. E magari come raccoglitore di consensi.
Berlusconi il Milan l’ha preso ben prima di entrare in politica, poi se n’è servito anche per fare politica. Questione di consensi, spesso e volentieri. E di politica, tra sport ed elezioni. A ogni competizione elettorale, soldi a profusione investiti sul mercato. Squadra rinforzata, voti assicurati: la magica equazione berlusconiana. Ha vinto tanto, sul campo. Successi che hanno aiutato, anche in politica. Questione di potere, appunto. Se riesci a gestirlo nel calcio c’è chi penserà che potrai essere all’altezza di governare il Paese. E quando si accorgerà che non è così sarà troppo tardi, soprattutto per il Paese.
Hulk (a sinistra) e Witsel, i due nuovi acquisti dello Zenit che hanno provocato polemiche interne alla squadra.
Berlusconi e il calcio, una storia di potere. Da conquistare sul
campo, collezionando successi. Da prendersi fuori dal campo, gestendo le
istituzioni. Le battaglie per la Lega, gli accordi di palazzo, le
guerre a colpi di illeciti, con tanto di condanne della giustizia
sportiva. Successi ma pure scandali, sempre in nome del potere. Finito
quello politico, più che affievolito quello economico, finisce per
evaporare pure quello calcistico. Stop alle spese pazze, solo cessioni
pesanti. Milan in disarmo, specchio fedele del suo padrone.
Tempo di Champions League, si va a san Pietroburgo, per affrontare lo
Zenit. Calcio e potere, un caldo abbraccio, anche da quelle parti.
Potere in tutti i sensi, economico e politico, che poi sono le due facce
della stessa medaglia. Arrivano i russi, i nuovi padroni dello
sport, che comandano in giro per l'Europa. Sono i figli del capitalismo
esasperato che ha preso il posto del socialismo reale, i magnati che
hanno sbancato sul tavolo delle privatizzazioni. Il calcio, forse il
miglior modo per sdoganarsi agli occhi del continente e condurre in alto
la nuova Russia. Passione ma non solo, quindi.
Lo Zenit San Pietroburgo, poi, è l'esempio più lampante. Squadra
storica, col prestigio perso per strada, poi tornata alla ribalta. Sia
in patria che in Europa, con tanto di trionfo in Coppa Uefa (non ancora
Europa League), quando all’indomani fu ricevuta al Cremlino dal
presidente Medvedev. Perché allo Zenit l’intreccio tra politica,
economia e calcio è ai massimi livelli. Lo Zenit che torna a brillare è
figlio di Vladimir Putin. Lui è un po' il padrone del vapore, anche nel
calcio. Anni fa mise le mani sulla federazione, facendo eleggere
presidente Mutko, suo amico fin dai tempi del Kgb. Poi ha pensato bene
di occuparsi dello Zenit, naturalmente non in prima persona.
La "gioia" dei tifosi dello Zenit dopo una vittoria in campionato.
Spinse ad acquistarlo Dukov, l'uomo della Gazprom, azienda di Stato
che produce utili da paura (è sbarcata anche nel calcio tedesco: è il
munifico main-sponsor dello Schalke) e che fino a poco prima era
presieduta da Medvedev, a sua volta tifosissimo dello Zenit. Investimenti
e ascesa ai vertici del calcio russo non sono che la naturale
conseguenza. Prima il titolo nazionale, che mancava da quasi 25 anni,
poi il trionfo in Coppa Uefa, una prima in assoluto. Con una politica
autarchica, o forse razzista: pochi stranieri, nessun giocatore
africano, per non urtare la parte peggiore della tifoseria, che bazzica
l'estrema destra politica, quella che si è distinta in Russia per
innumerevoli agguati, attentati e omicidi in nome della purezza della
razza.
E poi perché, nei nuovi miti della Russia di Putin, c'è anche quello
della gloria sportiva, come si conviene ad un Paese tenuto a briglia
corta da un uomo cintura nera di judo, uno che prima di un incontro
al vertice è capace di macinare un'ora di nuoto. La Russia che sfodera i
missili sulla piazza Rossa per mostrare che può mordere di nuovo, come
nell'era dei soviet ha il volto energico dei campioni sportivi, che oggi
infarciscono i banchi della Duma, arruolati in Russia Unita, il partito
putiniano doc. Come la bella Alina Kabaeva, olimpionica di ginnastica,
che un tabloid come il Moskosvskij Korrespondent - poi chiuso per l'insolenza - aveva indicato subito come futura seconda moglie di Putin.
Certo che l'ascesa dello Zenit dell'ex presidente è passata anche per
l'altrui indebolimento. Perché, sempre a proposito di rapporti tra
calcio e potere, il Cska Mosca dominava in patria anche grazie ai
quattrini pesanti della Sibneft, l'azienda che faceva capo a Roman
Abramovich. Normale che le cose cambiassero quando Putin convinse
Abramovic a cedere l'azienda a Gazprom: meno soldi per il Cska, via
libera allo Zenit. Questione di potere, appunto.
Ivo Romano