27/10/2012
Armstrong: ascesa e caduta di un mito (Ansa).
Il caso Armstrong merita e anzi impone alcune osservazioni “extra”, che mettiamo avanti dopo avere raccolto le spiegazioni ad esse attinenti con gente diciamo dell’ambiente. Lo facciamo auspicando che la vicenda cambi in maniera ovviamente positiva il mondo dello sport e intanto temendo che non accada nulla di sostanziale.
Come è possibile che Armstrong abbia superato indenne circa cinquecento controlli in sette anni, con una spesa enorme visto che i controlli stessi da 500 euro l’uno sono passati a 1000, senza che nulla sia emerso?
Possibile, ci dicono: le armi di offesa lasciano sempre indietro quelle di difesa, studiate “dopo”. Però urine e sangue sono sempre controllabili, se le provette vengono conservate bene, anche a distanza di tanti anni, e adesso si possono scoprire cose che allora non si rilevavano. Sono poi migliorati alla grande i sistemi di accertamento dell’assunzione di prodotti cosiddetti coprenti, per mascherare l’assunzione di sostanza illecite: e soprattutto questo ha “tradito” Armstrong e C.
Possibile allora che tutti i controlli, non solo quelli su di lui, dal 1999 siano stati fasulli, compresi quelli sui suoi compagni di squadra coinvolti – lo dicono essi stessi – nelle medesime irregolarità? E cosa possono dire quelli che sono stati invece scoperti e puniti? E casomai non siamo di fronte ad una versione stavolta sportiva della rivalità vasta e cronica tra Francia e Stati Uniti?
L’imbarazzo, ci dicono, esiste, lo ammettono tutti, quelli della federazione internazionale come quelli del Tour de France, quelli dell’antidoping francese come quelli dell’antidoping mondiale. Però i corridori scoperti non hanno recriminazioni da avanzare: hanno sbagliato, giusto che paghino. Quanto a Francia vs Usa, lasciamo ai film di James Bond le storie della Spectra e affini.
Le condizioni particolari di Armstrong, reduce vittorioso dalla guerra contro un cancro con metastasi, devono avere avuto qualche peso nella vicenda?
Ci dicono che lui ha sempre goduto di una sorta di licenza speciale relativamente alla per lui necessaria assunzione speciale di ormoni, licenza che comunque non contemplava certamente i suoi abusi e la sua organizzazione criminosa estesa o imposta ai compagni di squadra.
Si colpevolizza molto, anche da parte del Tour, la federazione internazionale, che avrebbe indagato poco e coperto molto. Possibile?
Possibilissimo. Basti pensare a come, nell’atletica leggera, i campioni statunitensi ufficialmente non si sono quasi mai dopati ufficialmente sino all’outing coatto di Marion Jones, la sprinter che fece vedere il verminaio, prima dei Giochi di Sydney 2000.
Stiamo parlando di federazioni nazionali e internazionali: ma e il Cio, e
la giustizia ordinaria?
Il Cio per troppo tempo si è fidato delle federazioni, ora sta
rimediando con organismi suoi. La giustizia ordinaria idem. E pure con
tanti controlli a sorpresa, oltre che con il passaporto biologico che
presto o tardi ogni atleta professionista dovrà avere, in ogni sport.
Questione anche di soldi. Si dice: meglio tardi che mai. E si lasciano
in vita tanti dubbi su tanta complicità.
Di fronte all’organizzazione di Armstrong per pratiche illecite e
intanto sicure, anche il doping di stato, di regime della famigerata
Germania Est appare meno efficiente. Possibile?
Qui tutto si è concentrato su un solo gruppo di atleti, là si lavorava
su migliaia di concorrenti, con dispersione delle forze e anche dei
segreti.
Giusto azzerare dei sette Tour de France vinti da Armstrong tutto, senza
trasferire la vittoria su altri?
Purtroppo sì, visto che dal 1998 del successo di Pantani, seguito dal
“settebello” di Armstrong, non solo ci sono i vincitori di dodici
edizioni (sette Armstrong, tre Contador, una Landis, una Pantani)
scoperti in colpa di doping, ma ci sono anche sei corridori arrivati
secondi, otto arrivati terzi e via scendendo, sempre trovando rei
confessi o scoperti sino al decimo posto. E ci fermiamo lì.
Ma allora muore il Tour de France?
Macché. Compie nel 2013 i cent’anni, convoca sempre folle immense anche
se i francesi non lo vincono dal 1985 di Hinault. E’ un fatto culturale,
letterario, poetico e anche mediatico e pubblicitario.
Muore il Giro d’Italia, allora? E tutto l’altro ciclismo?
Deciderà la gente, al traino dei corridori e delle loro imprese. Il Giro
dovrebbe tenere, ha radici popolari più forti di ogni banditismo. Il
ciclismo tutto, poi, paradossalmente non è mai stato bene come ora, e
forse anche per questo si è permesso di calare la scure sul caso
Armstrong: si è ormai diffuso in quasi tutto il mondo, presto avrà anche
l’Africa, parla inglese e non più francese o italiano, attrae i media
per ragioni spettacolari assortite, convince sponsor di levatura
planetaria, ha nella bicicletta una strepitosa arma ecologica. E ormai
può portare il suo antidoping come un fiore all’occhiello, mentre nessun
altro sport può farlo.
Gian Paolo Ormezzano