03/08/2012
Edwige Gwend (a destra) e Giulia Quintavalle, della squadra di judo (Reuters).
Anzhelika, Dragan, Wenling, Danijel, Edwige, Nathalie. Nomi stranieri, ma tutti uniti sotto il Tricolore, a rappresentare l'Italia ai Giochi olimpici di Londra. Mai come quest'anno competono alle Olimpiadi tanti atleti italiani di origine straniera. In tutto 27 su 276, una cifra storica per il nostro Paese, tra atleti nati in Italia da genitori stranieri, quelli arrivati da noi da bambini e i naturalizzati per matrimonio. Sono i nuovi volti, quelli sportivi dunque più visibili e mediatici, di un'Italia sempre più mutietnica e meticcia, nella quale le terze generazioni, i figli dei figli degli immigrati, già siedono sui banchi di scuola.
A Londra c'è Gloria Hooper, velocista classe 1992. E' nata a Villafranca di Verona da genitori entrambi ghanesi che si conobbero a Napoli. Nella squadra di pallanuoto ci sono Danijel Premuš e Amaurys Pérez: croato naturalizzato italiano nel 2010, il primo, cubano anche lui naturalizzato italiano, il secondo, che ha esordito proprio a Londra con la nazionale italiana. E poi la schermitrice Nathalie Moellhausen, metà tedesca metà brasiliana, ma nata a Milano; Anzhelika Savrayuk, stella della ginnastica ritmica, di origine ucraina, che ha ottenuto la cittadinanza italiana nel 2007 e fa parte dell'Aeronautica militare come aviere scelto.
Amaurys Perez, a destra, e Danijel Premus, al centro (Reuters).
E ancora, Dragan Travica, pallavolista nato a Zagabria, in
Croazia, Edwige Gwend, judoka di origine camerunense. Nel ping pong,
Wenling Tan Monfardini, cinese sposata con un italiano, dunque diventata
italiana per matrimonio, come altri atleti, da Pérez alla canoista
Josefa Idem (origine tedesca), fino a Nadja Ejaffini (atletica), nata in
Marocco.
E se, tutto sommato, ci resta facile e naturale tifare per questi atleti olimpici italiani dai nomi stranieri,
più difficile rimane accettare la multiculturalità nella quotidianità
più prosaica, lontana dai riflettori di Londra. Nel mondo
imprenditoriale, ad esempio, dove spesso per i ragazzi di origine
straniera, i figli degli immigrati, le seconde generazioni è ancora
difficile accedere a un colloquio di lavoro proprio a causa di quel
cognome "alieno" che desta diffidenza. Intanto, mentre aspettiamo la
riforma, indispensabile, della legge sul diritto di cittadinanza per i
figli degli immigrati che nascono qua e crescono da italiani,
continuiamo ad applaudire i nostri atleti dai cognomi stranieri che, a
Londra, portano con orgoglio la nostra, e loro, bandiera.
Giulia Cerqueti