26/04/2012
Roberto Di Matteo, l'allenatore italiano del Chelsea, che si giocherà la finalissima di Champions League con il Bayern Monaco, in casa dei tedeschi (Reuters).
L’unico italiano impegnato nella finalissima di Champions League, il 19 maggio nello stadio di Monaco di Baviera, sarà Roberto Di Matteo, fra l’altro nato in Svizzera, a Sciaffusa. Ha 42 anni, ha giocato da centrocampista nel campionato elvetico, in quello italiano (Lazio) e in quello inglese. Ha smesso a 31 anni per un grave infortunio, dopo avere fra l’altro indossato 34 volte la maglia azzurra. Dal 4 marzo allena il Chelsea, dove ha preso il posto del “cacciato” Vilas Boas, portoghese proclamato troppo presto erede di Mourinho. E il Chelsea – che fra l’altro ha fatto fuori il Napoli a fatica - è finalista di Champions, contro il Bayern che giocherà la partitissima in casa (per scelta dell’Uefa nel 2011), favorito anche dalla squalifica di quattro forti giocatori della squadra londinese.
Quelli che credono che il calcio sia uno sport abbastanza scientifico, e non invece un gioco abbastanza matto, avevano deciso da tempo che la finale sarebbe stata fra due grandi squadre spagnole, il Barcellona detentore del trofeo e proclamato pochi mesi fa migliore squadra del mondo e il Real Madrid che vuole vincerlo per la decima volta e che non lo vince da dieci anni. La decisione era stata mantenuta anche dopo le partite di andata delle semifinali, in cui il Chelsea aveva sconfitto a Londra il Barcellona 1 a 0 e il Bayern aveva sconfitto a Monaco il Real Madrid 2 a 1. Due casualità, due curiosi accidenti, si era detto, al ritorno la legge del più forte prenderà il sopravvento.
Lionel Messi, del Barcellona, e Cristiano Ronaldo, del Real Madrid, durante la recente finale della Coppa del Re, in Spagna (Reuters).
Invece le due grandi di Spagna. che avevano appena chiuso la pratica del
titolo iberico, conquistato dal Real Madrid sul campo del Barça, sono
state eliminate in casa. I catalani da un 2 a 2 ottenuto a Barcellona
dagli inglesi con un tiro solo, neanche due (il secondo gol del Chelsea è
stato un passaggio in porta), i madrileni dai calci di rigore, dopo che
il match dei tempi regolari e supplementari era finito con il loro 2 a 1
insufficiente per ribaltare il risultato dell’andata.
La semifinale di Madrid è stata giocata secondo i modi del calcio come
lo conosciamo da sempre. La semifinale di Barcellona è stata giocata
secondo due modi diversi, da far pensare a due sport diversi.
La squadra “blaugrana” ha eseguito sei passaggi per ogni passaggio
eseguito dalla squadra avversaria, e ha tenuto la palla per l’85 per 100
del tempo di gioco. Il football dei catalani è magnificato, al di là
dell’eliminazione attribuita anche alla sfortuna (tre pali in due
partite, uno su rigore, e tanto gol mancati di un niente), senza che ci
si chieda se per caso si tratta di qualcosa di diverso dal gioco che
sappiamo. Loro giostrano in orizzontale, senza attaccanti di punta, e
con difensori che trattano la palla morbidamente, come artisti
sudamericani. Il diaframma che separa il bellissimo dal noiosissimo è
sottile assai. Lo schema è questo: avanzare lentamente, e cercare di
servire Messi, che si esibisce nel guizzo in verticale. Il fuoriclasse
argentino ormai viene schiacciato dalla marcature avversaria: fa molto,
non può fare tutto.
L'allenatore del Bayern Monaco (già vincitore di una Champions League sulla panchina del Real Madrid, con il giocatore francese Frank Ribery (Reuters).
Il Milan è stato eliminato dalla paura del Barcellona prima ancora di
scendere in campo contro il Barcellona.
Adesso che in pochi giorni la squadra catalana è scesa dal trono di
Spagna e da quello d’Europa, ci sarà magari l’assalto al suo allenatore
Pep Guardiola, che ha giocato anche in Italia e considera Brescia la sua
seconda casa. Ma a nostro parere il suo esperimento a Barcellona, col
Barcellona e con Messi, è irripetibile altrove. Comunque Guardiola, e
anche Mourinho col suo Real superpratico dove Kakà gioca troppo di fino
per essere titolare, stanno nei sogni dei nostri presidentoni, loro e
non Di Matteo e non Heynckes, l’allenatore del Bayern, due tipi troppo
normali, per di più irriguardosi verso troppi esperti che li dicono di
seconda fila.
Argomentare dall’assenza del calcio spagnolo nella finale di Champions
League nuove gerarchie europee è assurdo. Con poi alle porte il
campionato continentale, che potrà ridicolizzare tanti pronostici. E con
squadre di club che sono un mosaico di nazionalità. Apriamo invece una
sorta di concorso per trovare un nome appropriato al nuovo gioco
inventato dal Barcellona, e soltanto casualmente gestito sinora dal
regolamento del calcio.
Gian Paolo Ormezzano