01/03/2011
Il campionato italiano di calcio è molto monotono come trama, molto intrigante come trame. Delle trame si può intuire molto e provare qualcosa, anzi poco. Della trama si parla continuamente, diffusamente, ed essendo il finale della commedia stagionale già noto, almeno nelle sue grandi linee, ci si diverte con gli episodi spiccioli, i momenti transitori.
La trama dice che alla fine vengono fuori quelle due-tre squadre solite e solide: se non c’è la Juventus, insieme con Milan e Inter, c’è la Roma, raramente si affacciano dai piani alti la Fiorentina, il Genoa, la Sampdoria, l’Udinese... E soprattutto ogni anno c’è l’annunciata e ovviamente definitiva (in calcese definitiva significa provvisoria) ascesa del Sud. Il Napoli, il Palermo, il Cagliari, il Bari che però quest’anno è ultimo… Vige persino il giochetto di credere “a strappi” in una provinciale: negli ultimi anni soprattutto il Chievo.
Edinson Cavani, attaccante del Napoli.
Le trame sono quelle per cui lo
stesso fallo è da rigore se scommesso contro il giocatore di una
“grande”, da niente o addirittura da sanzione per simulazione se a
subirlo è un giocatore di una “piccola”. Il mani di un attaccante di uno
squadrone non è reato anche se voluto, il mani di un difensore di una
squadretta è reato anche se involontario. Si afferma che alla fine la
ruota gira e torti e ragioni si bilanciano perfettamente. Mica vero. E’
come quando si dice questo ai poveri, che si lamentano perché la loro
vita è piena di condanne, quella dei ricchi di assoluzioni, e le
condanne sono sempre più delle assoluzioni. Nella commedia intitolata a
Rugantino un riccastro dice a un poveraccio che gli fa notare la
sperequazione: “E’ vero, ma che colpa ne abbiamo noi? Siete di più…”.
Le trame sono comunque perfette, nel senso che le vicende sono
in linea di massima credibili. Il Napoli, la sudista di turno, è in
ascesa anche se Cavani non è Maradona e Lavezzi è squalificato un po’ ad
orologeria, gioca a Milano contro il Milan la partita dell’anno,
patisce un rigore (che sblocca il punteggio ed il match) che forse non
c’è. E che, senza troppi forse, mai sarebbe stato assegnato contro una
“grande”. Ma ormai tutti siamo allenati (ed alienati) a questo. Se una
“grande” come la Juventus non viene omaggiata di favori rispetto a
quanto lo era nel passato preCalciopoli, si dice che sta scontando la
paura degli arbitri, del palazzo di favorirla troppo vistosamente: e il
bello, il brutto (a piacere) è che magari è proprio vero.
Adriano Leite Ribeira, ex grande calciatore.
Divertiteci, divertiamoci con la certezza finale sulla trama e
i sospetti ottimi (pessimi) e abbondanti sulle trame. E’ o non è, il
nostro, il campionato più bello del mondo, e peggio per le squadre
europee che non lo capiscono e ci tartassano nelle coppe, mancandoci di
rispetto, quando non commettendo autentiche empietà?
In questo scenario, il caso di Adriano appare insieme patetico
e inevitabile. Adriano o meglio Adriano Leite Ribeira, brasiliano di
Rio anzi di una favela di Rio dove torna appena può, fra disperati e
trafficanti, ventinove anni ormai, attaccante passato dal Flamengo
all’Inter alla Fiorentina al Parma all’Inter (la sua squadra diciamo
primaria, titolare) al San Paolo (nessuna partita) di nuovo all’Inter al
Flamengo alla Roma e ora forse destinato alla dissoluzione sportiva.
Grande talento, fisicone però facile a farsi pesante, propensione
all’alcol e ad altri vizi, tragedie in famiglia, figliolanza sparsa,
amicizie pericolose, sempre troppe donne intorno a lui.
Eppure a Roma lo
hanno ancora voluto, salvo cacciarlo adesso che si è rifiutato alla
visita di un medico importante chiamato dal club per capire qualcosa del
suo corpaccio e soprattutto della sua psiche. Soltanto il nostro calcio
poteva permettersi così a lungo un personaggio scoordinato, picassiano
come lui, soltanto il calcio brasiliano poteva farci da sponda.
Probabile che in un futuro anche prossimo ci arrivi qualche ulteriore
brutta notizia sul’ex ragazzone. Se invece lui va avanti nella sua
crassa vita, ci raggiungerà, comunque, la sua risata, da chissà quale
postaccio del mondo, magari un postaccio persin più “accio” di quelli
del nostro calcio.
Gian Paolo Ormezzano