23/10/2011
Marco Simoncelli.
Marco Simoncelli le aveva tutte, in positivo e anche in negativo, l’amabile divertente negativo dei bravi ragazzacci, per piacere, per fare simpatia, e aveva pure le stimmate del campione, probabilmente anche il talento del fuoriclasse (mancavano alcune conferme, in via di reperimento o costruzione).
Era giovane, 24 anni, simpatico, romagnolo (di Cattolica) praticante, nel senso di essere sempre come impegnato a recitare il copione gonfio di quelli delle sue parti, fatto di allegrie e di ironie, di vita spalmata su tanti interessi, di calore e colore sempre sopra le righe. L’immagine prima di lui dopo l’incidente (un incidente che subirà molte intepretazioni e ricostruzioni: e ci sono immagini che coinvolgono anche Rossi nel contatto), quando sulla pista di Sepang è rimasto solo, ormai lontano, fuori circuito, Valentino Rossi, suo idolo e sempre suo grande amico nonostante la rivalità, Rossi ancora in sella, e lontano anche Edwards sbalzato dall’urto ma indenne, l’immagine prima è quella di un ragazzo sdraiato sull’asfalto, potrebbe essere un manifestante appena picchiato dalla polizia, i tantissimi capelli inquadrano la testa e connotano tutto il corpo.
Non ha più il casco, che lui calzava a fatica per via della vasta, immensa capigliatura, quella a cui poteva accedere soltanto una parente trepida ed esperta. Siamo in giorni di fotografie abbondanti di morti celebri, offerte con sadismo mascherato da documentazione e scrutate con vouyeurismo travestito da voglia di verità, e allora si cerca di vedere anche il segno, sul collo, del pneumatico che lo ha colpito e ucciso.
Stava conquistandosi la notorietà, Marco Simoncelli, con mezzi ortodossi e non, come pare sia necessario per non diventare, da montone anzi ariete alla carica, agnellino sacrificale. Stava baccagliando con gli spagnoli, aveva buttando fuori pista i Lorenzo ed i Pedrosa, in certi casi sbattendoli all’ospedale, stava non solo facendosi, ma quasi coltivando la fama di audace sino ai limiti della scorrettezza, che in certi momenti della vita e quindi anche dello sport significa “mors tua vita mea”.
Ma stava affinandosi e raffinandosi, e sapeva chiedere scusa col sorriso, anche con spacciarsi per ragazzo umile. La romagnolità dirompente, prorompente, coinvolgente lo connotava intanto che lo tradiva, nel senso che rivelava la sua finzione, la sua recitazione permanente e dunque sincera, vitale. In realtà Sic era uno dei migliori e positivi ”patacca” in circolazione nel mondo dello sport, e chi sa di Romagna conosce la valenza calda della definizione anche felliniana, volta a designare un buono che sa scherzare dei propri eccessi, con i quali allegramente irrora il mondo senza pretendere mai di verniciarlo, ma soltanto di dargli refrigerio.
Gian Paolo Ormezzano