04/05/2012
Clemente Russo (al centro) con i compagni della Milano Thunder (foto del servizio: Reuters).
In autunno ha saltato i Mondiali, perché non ne aveva bisogno (era già qualificato per l’Olimpiade londinese). Con i Milano Thunder ha fatto sfracelli nelle World Series, appena vinte contro Mosca, in quel di Londra. In mezzo, ci ha messo famiglia, cinema e Tv. Non s’è fatto mancare nulla, neppure qualche delusione. (la sospensione di 6 mesi dalla Polizia per la parte nel film Tatanka).
Clemente Russo, punta di diamante della boxe dilettantistica azzurra, pensa al passato con un pizzico di amarezza e guarda al futuro tra buoni propositi e grandi progetti.
- Una stagione alla grande?
"Direi proprio di sì. L’ultimo successo, un grande sigillo".
- Tutto perfetto, se non fosse stato per la sospensione dalla Polizia: cosa l’è restato di quella brutta esperienza?
"Tanta amarezza, che però è già cosa passata".
- Che cosa l’ha più amareggiata?
"Non essere stato capito. Sospeso dalla Polizia per un film che ha avuto un grosso impatto sociale: non me l’aspettavo".
- Beh, s’è rifatto alla grande, sul ring.
"Sì, una ripartenza eccellente, dopo uno stop per il forfeit forzato ai Mondiali".
- In quella fase, fermo al lavoro, fermo anche nello sport, ha comunque avuto altro cui pensare?
"Mia figlia, che è nata ad agosto. Stare con una figlia regala momenti impagabili a un genitore".
- Un figlio cambia pure la prospettiva con cui guardare la vita?
"Una volta combattevo per me, d’ora in poi per mia figlia".
- Per il futuro, ancora tanti figli?
"Se dovessi dirlo adesso, uno basta e avanza. Un figlio richiede sacrifici, sottrae sonno ed energie. Scherzo, naturalmente. Certi sacrifici si fanno col cuore".
- Dovesse avere un figlio maschio lo avvierebbe volentieri alla boxe?
"Penso che nella vita la libertà sia sacra: i genitori hanno il dovere di seguire i figli, che però hanno la libertà di operare le proprie scelte".
Clemente Russo dopo una delle sue vittorie in magli azzurra.
- Se non fosse diventato pugile cosa avrebbe fatto?
"L’attore, forse. Scherzo, ma neanche tanto".
- A Marcianise è quasi come se ci fossero solo due possibilità: pugilato o criminalità?
"No, non esageriamo. Ma il pugilato è un’ottima strada da imboccare: in un piccolo centro ci sono tre palestre importanti, con allenatori di eccellente livello, palestre di pugni ma anche di vita, luoghi che hanno strappato alla strada decine di ragazzi, che grazie ai pugni provano a costruirsi un futuro".
- Criminalità e pugilato: uno scrittore conosce entrambi.
"Saviano, certo".
- Una volta lei ha detto: “Saviano è una chiavica (una schifezza, in italiano). Conferma?
"Si scherzava. E naturalmente si parlava di pugilato: lui ne è appassionato, ma coi guantoni non ci sa fare granchè. Ma quando ho tempo libero se vuole gli insegno qualcosa".
- Altro spessore, come scrittore?
"Ha un gran merito: se in Italia s’è cominciato a parlare di certi fenomeno lo si deve soprattutto a lui. Equando se ne parla poi va a finire che si comincia pure a combatterli. Lui li ha portati alla luce, altro licombattono giorno dopo giorno. A Marcianise, Polizia e Carabinieri hanno fatto un gran lavoro: ora si respira un’altra aria, più pulita".
- E prima?
"Da ragazzo ho vissuto il coprifuoco, quando Marcianise era considerata una specie di Far West. Ogni giorno, morti ammazzati. Non riesco a ricordare neppure quante volte mi sia capitato, magari dall’interno di un bar, di sentire i colpi dei proiettili: poi si usciva e ci si imbatteva nei cadaveri. Far West era la definizione giusta".
- Il futuro sul ring cosa le proporrà?
"Le finali delle World Series, poi il grande obiettivo delle Olimpiadi di Londra. Poi, comunque vada, si cambia. Che torni con una medaglia d’oro, d’argento, di bronzo o di cartone il giorno dopo mi sentirò un professionista".
- E’ deciso al grande salto?
"Stavolta ho deciso. L’esperienza delle World Series (una sorta di ibrido tra dilettantismo e professionismo, n.d.r) mi ha convinto".
- Volerà in America?
"Ci sono stato, mi piace. Per un caciarone come me è l’ideale. Ho conosciuto Don King, con lui il discorso è sempre in piedi. Ma non è detto che non resti in Italia: c’è in cantiere una grande scuderia, fatta da persone serie e competenti che non temono confronti né in Europa né in tutto il mondo, può essere quelle la strada".
- La boxe professionistica italiana ha bisogno di facce nuove?
"Sì, visto che adesso c’è un baratro tra dilettanti e professionisti. Nuovi talenti e facce pulite non possono che far bene".
- Compagni pronti a seguirla sulla strada del professionismo?
"Valentino, penso. Ma con lui non si sa mai: un giorno dice una cosa, il giorno dopo un’altra". (ride)
- E poi: televisione, cinema?
"Sono delle strade percorribili in futuro, soprattutto per uno come me, estroverso ed egocentrico. Ho fatto La Talpa, e mi sono divertito. L’esperienza sul piccolo schermo con Tatanka è stata splendida. Ma se ne riparlerà quando avrò appeso i guantoni al chiodo. La boxe mi assorbe per 330 giorni all’anno su 365: non c’è tempo per altro".
Ivo Romano