16/01/2013
Lance Armstrong (Corbis).
La confessione di Armstrong è, con l’ufficializzazione fornita dallo show televisivo, come si conviene al mondo d’oggi, una pesante e speriamo salutare sconfitta non solo per il mondo del doping, ma anche per il mondo dell’antidoping.
Sembra un paradosso, ma se viene fuori che per dieci anni di sport intenso un ciclista si è dopato, passando indenne attraverso mezzo migliaio di controlli assai costosi che hanno riguardato anche suoi compagni di squadra, e che questo stesso ciclista ha intanto potuto condurre una vita privata intensa come quella in bicicletta, con tre diverse donne e tre figli, mandando avanti una sua organizzazione che ha raccolto milioni di dollari per la ricerca contro il cancro che fra l’altro lui ha combattuto e vinto, si deve desumere che l’apparato antidoping è il grande sconfitto di tante battaglie, e intanto si deve ammettere che soltanto il futuro dirà se le sconfitte parziali sono servite a vincere la guerra totale. In subordine, si può anche scherzare, ma mica troppo, dicendo che, alla luce di quanto Armstrong, vincente in sella contro un grave tumore, è riuscito a fare, significa che certi prorotti possono pure giovare alla salute vastamente intesa.
Tornando alla “chimica” del fatto, in effetti sembra che ora le armi di difesa, cioè i controlli, siano in grado di scoprire sostanze vietate assai più che nel passato anche recente, e addirittura con possibilità di verifica dei reperti di molto tempo fa, per esami di tipo nuovo.
Una gran bella e buona notizia, dopo anni e anni in cui l’antidoping ha malamente, tardivamente rincorso il doping, come nel mondo le armi di difesa malamente, tardivamente rincorrono quelle di offesa. Ma sulla base dei fatti sin qui accaduti, bisogna ammettere che le battaglie sono state tante e le sconfitte sono state troppe.
Perché i casi sono due: 1) o ci sono tanti altri Armstrong, con tanti che hanno barato impunemente, considerata la qualità dei controlli: 2) o lo stesso Armstrong ha messo insieme una allarmantissimo apparato disonesto, truffaldino un sistema mostruoso che ha riguardato tanto mondo dello sport, a tanti livelli e in tanti paesi, con complicità in tanti ambienti,compresi quelli dirigenziali (qualcosa da fare impallidire la Spectra di James Bond o la Stasi che proteggeva il doping di stato degli atleti della Ddr), escluso forse quello dei pedalatori, visto che molti suoi compagni hanno denunciato le sue pratiche.
E allora la scoperta sarebbe terrificante: non tanto per la brutta figura che l’antidoping fa, no, quanto per la giusta paura che un simile apparato possa essere sempre in azione e comunque possa essere riprodotto, considerata la enorme forza economica del commercio di prodotti dopanti, specialmente nelle palestre. Da considerare poi anche i rischi che corre il ciclismo tutto se, scoprendo magari su denuncia-ricatto del corridore stesso complicità negli alti organismi dirigenziali, il Cio lo esclude dai Giochi olimpici: sino a ieri sembrava fantascienza, ora il pericolo esiste eccome.
La chiave dl lettura complessiva della confessione del ciclista texano apre comunque tante porte, e magari ne chiude altre: c’è chi pensa addirittura ad una sua scelta masochistica, alla Sansone che muore con tutti i Filistei,o a una sua spavalda forza ricattatoria nei riguardi del compromesso ciclismo dirigenziale tutto, specialmente se adesso nasceranno, come pare e come è giusto, le più assortite richieste di danni nei suoi confronti.
Cercando abbastanza disperatamente di cogliere l’aspetto positivo più valido e sicuro della faccenda, diciamo che si deve sempre gioire quando anche soltanto un po’di male viene scoperto e punito.
Non che si pensi che il male possa essere fatto definitivamente sparire dal mondo, ma combatterlo significa essere coerenti con la dignità di uomo. Doping, droga, mafia, crimine assortito eccetera sono purtroppo invincibili, ma devono sempre essere combattuti e colpiti sin dove si può. Lo si può, lo si deve scrivere anche questa volta.
E si deve scrivere anche che lo sport adesso è più pulito, o meno sporco, specialmente il ciclismo che al doping, per lunghezza e brutalità che la sua tipologia di fatica richiede, dalle sirene del doping è più attirabile.
Vero che è pensabile che gli sport senza doping siano quelli senza forte continuo antidoping, vero che ci sono sicuramente in giro, nel mondo dello sport, tanti Armstrong che l’hanno fatta franca, vero che ci siamo fatti ingannare da lui davvero malamente, ingenuamente (ci vorrebbe uno strumento per misurare quanto orribile male lui fa agli entusiasmi, ai sogni nati con le sue vittorie taroccate), ma vero anche che forse andiamo verso giorni semifelici in cui non verrà troppa voglia di postillare ogni articolo che canta un’impresa sportiva con “s.d.”, cioè “salvo doping”.
Gian Paolo Ormezzano