20/06/2011
Damiano Cunego baciato da due miss al Giro di Svizzera.
L’ultima domenica è stata per il fruitore italiano di cose sportive una giornata senza calcio, a parte alcuni spareggini per salire in B, senza Formula 1, senza Moto Gp, cioè senza grossi canonici richiami. Rispetto alle dosi abituali di sport grande o almeno grosso comunque grasso, appena il ciclismo del Giro di Svizzera perso da Cunego all’ultima pedalata, il motociclismo di seconda fascia dei Biaggi e dei Melandri, il titolo massimo del nostro basket per il quinto anno consecutivo (che bello, che barba) a Siena. Robetta, in paragone alla consueta sagra delle superemozioni, del calcio magari truccato ma truccato bene, e infatti ci caschiamo sempre.
Sarebbe stato interessante uno studio sull’impiego del sempre più cosiddetto tempo libero, sulla eventuale riscoperta di vecchie abitudini, sul “consumo” magari più saggio o meno balordo del solito del giorno del Signore. Mi scuso per il riferimento personale, ma ricordo che, in una notte di passaggio dall’ora legale all’ora solare, giocai al gioco di alcune telefonate a casaccio, travestite da mininchiesta giornalistica, per chiedere alla gente cosa ne faceva di quell’ora di vita in più, e ottenni risposte interessanti o almeno divertenti. Le ore in più dell’ultima domenica sono state molte, e il bel tempo foriero di gite ed escursioni e pic-nic che possono risolvere il problema del “che fare?” ha gratificato solo poche zone d’Italia.
Particolarmente l’assenza di importante calcio giocato, la domenica precedente ancora vivo con la partita decisiva per il ritorno, dopo cinquantacinque anni, del Novara in serie A, poteva fornire dati psicologici assai validi ad una ricerca magari anche divertente. Non se ne è fatto niente: anche perché pare che il grande calcio non solo viva, in questi giorni, ma addirittura straviva, e pazienza se senza pallone. E’ il calcio del mercato ed è il calcio di Calciopoli 3 o forse 4 (non si sa bene, come con la P che chissà se è 3 o 4 o addirittura, per via della minacciosa incognita di quel che sta succedendo a pochi chilometri dall’Italia, addirittura P greca).
Il calcio del mercato, o Calciomercato meglio se con la maiuscola, fa vendere i giornali sportivi più delle partite vere e proprie. E’ il regno dei sogni, delle fantasie, delle fole, delle bufale, degli eccessi, del pissi-pissi bao-bao. Vede calciatori appena buoni fatti assurgere in un amen a campioni capaci di ogni miracolo, calciatori ottimi retrocessi a merce di scambio (o, come si dice sempre di più, a contropartite tecniche). Si registra la fine di amori, fra il giocatore e quel certo club, ovviamente a tempo debito dichiarati eterni, e all’insorgere di amori nuovi: “sempre sognato questa maglia…”.
Le cifre spropositate dei cartellini e dei contratti e ultimamente anche delle clausole rescissorie di un impegno (una assicurazione contro la fine dell’amore) sono umilianti per ogni cittadino onesto, ma anche il cittadino onesto le accetta, ed anzi per il suo idolo le vorrebbe più grasse, dunque in teoria meglio dopanti. Nessuno vuole accorgersi che il mercato ormai non è fatto né dai tecnici che dovrebbero essere anche esperti né dai presidenti che dovrebbero quanto meno interpretare le voglie e le passioni dei tifosi. E’ fatto dai procuratori, dagli agenti, dai manager - la definizione è a piacere -, da una consorteria che fissa i prezzi e si aggiudica le percentuali su ogni operazione.
Antonio Conte firma il contratto da allenatore della Juventus.
Il Calciomercato è fatto della stessa materia dei sogni, come un telespot dice di un’auto associata ad un’eroina shakespeariana: e peggio vanno le cose, più si ha voglia di sognare. Riescono a sognare, sia pure a fatica considerando il loro brusco risveglio, anche i tifosi dell’Inter: in fondo Moratti ha voluto farli ringiovanire, riportandoli all’epoca delle incertezze, degli errori, delle confusioni, dei mali di pancia, insomma dei banchetti/balletti a base di nuovi allenatori.
Quanto a Calciopoli, interessa eccome, è operazione chirurgica opportuna: a meno che non coinvolga la squadra beneamata, tipo Atalanta con Bergamo quasi a ferro e fuoco, ché allora diventa bieca operazione di palazzo (e casomai anche di Palazzi, il magistrato dello sport). Un nostro pronostico: più lo scandalo è grande, meno è destinato a produrre pene veloci e giuste. C’è tantissimo pane di tifo cieco per spalmarci sopra tutta la confettura marcia che si scopre, così che essa si riduca ad un velo e che il gusto sia appena avvertibile, e dai soli palati fini.
Infine, un nostro timore, rafforzato anche dal parere di chi deve giudicare: non è possibile accertare tutto il divenire di un crimine o comunque di un illecito in cui si scommette da Singapore su una partita della terza serie italiana, anzi sul numero dei gol di quella partita. I tarallucci li facciamo da sempre, e quanto al vino quest’anno siamo diventati i primi produttori al mondo.
Gian Paolo Ormezzano