29/09/2012
L'arrivo di Rodriguez nela pioggia battente (foto Sirotti).
E’ finita con il Giro di Lombardia vinto dallo spagnolo
Joaquin Rodriguez una certa stagione del
ciclismo, quello dei grandi appuntamenti europei (resta il 7 ottobre la Parigi-Tours, ma non
è, come si dice adesso, una classica “monumento”, definizione che onora soltanto Sanremo,
Lombardia, Roubaix, Fiandre e Liegi).
Un tempo con il Giro di Lombardia finiva
l’annata agonistica, per il resto dell’anno solare i ciclisti si davano all’ingrasso nei
festeggiamenti spesso al paesello, verso la
fine di gennaio riprendevano timidamente a pedalare, di solito sulla
riviera ligure, per ritrovare la forma, prime gare sulla Costa Azzurra. Adesso
i ciclisti pedalano dodici mesi all’anno in competizione, e ora sono attesi da
gare nell’emisfero australe (Brasile, Sudafrica, Australia…), casomai da
allenamenti ai Caraibi.
Uno spagnolo ha vinto
il Giro di Lombardia, mai di un suo connazionale per le precedenti 105
edizioni. Tre spagnoli ai primi tre posti,in una giornata superautunnale di
pioggia e talora bufera, una giornata che meno spagnola di clima non era
immaginabile: Rodriguez primo, Sanchez suo connazionale secondo (e terzo Uran,
colombiano, stesso idioma). Il vincitore ha 33 anni, è detto Purito, piccolo
sigaro, perché in una corsa simulò di fumare un sigaro come segnale di
superiorità sugli avversari (fu “punito” con l’obbligo di fumare un sigaro
vero, lui che fumatore non era e non è). Pedalatore completo, è stato il migliore di tutti, come piazzamenti
e successi (secondo fra l’altro al Giro d’Italia dietro al canadese Hejerdal),
nei primi nove dodicesimi del 2012.
Il miglior italiano del Lombardia è stato Santambrogio,
quarto. Nibali è caduto, lui come tanti altri, su una strada sempre bagnata e
spesso scivolosa: nel finale non c’era come gambe e spirito. Nel 1998 la “corsa delle foglie morte era stata vinta
da Cunego, e da allora nessuna classica è stata nostra. Siamo in crisi seria, di
talenti e di soldi, non ci sono grossi corridori e neanche grossi sponsor, e questo
avviene mentre il ciclismo mondiale ha preso nuove dimensioni.
Per Nibali (a destra nella foto) una caduta al Lombardia (foto Ansa).
Mai questo sport, ormai trascurato dalla stampa sportiva italiana, compresa talora quella rosea che pure è stata connotata dalla bicicletta per un secolo e passa, ha avuto confini così vasti come adesso. Si parlano soprattutto l’ inglese e il castigliano che sono le lingue principali del mondo, spesso vincono gli spagnoli che sono una specie di ponte fra il ciclismo europeo e quello latinoamericano che parla anch’esso la lingua di Cervantes, vincono gli inglesi (il Tour a Wiggins) che prima erano immaginati senza casco perché in bombetta anche sulla bicicletta. Una squadra kazaka petromilardiaria ingaggia il nostro Nibali con stipendio da calciatore importante.
Da noi sembra che si voglia moralisticamente punire il ciclismo per il peccato di doping: quando il doping è dovunque, e diciamo dovunque nel ciclismo e ormai in ogni sport, quando proprio l’Italia deve fronteggiare il caso triste e tristo di Schwazer marciatore, quando si profila un caso Di Centa nel nostro sci di fondo. Per fortuna che il ciclismo gode ancora in Italia dell’affetto popolare, che porta gente sulle strade anche di montagna, anche sconvolte dal maltempo. Non siamo ai fasti culturali del Tour de France, evento assoluto, per la cui validità non conta nulla il fatto che ormai i ciclisti francesi validi si contino sulle dita di una mano mutilata, ma la base è buona, forte e semplice, forte perché semplice.
Resta il problema, o se si vuole il mistero, di uno sport mai così florido di praticanti (si pensi agli Stati Uniti dove si pedala sempre di più, dove il caso Armstrong ha scosso poca gente e dove i sette Tour di fila vinti da lui sono dai più considerati giusti e veri, si pensi all’espansione prossima ventura, comunque certa, in Cina e in India), uno sport mai così variegato di talenti con passaporti diversi, uno sport mai così omaggiato per le sue virtù ecologiche, ma anche uno sport che, nell’Italia che pure si diede tutta ai Bartali ed ai Coppi, non fa più tendenza,non fa moda, semplicemente fa pubblici che in difetto di media ad hoc lavorano di fantasia, aspettano e sperano che arrivino i suoi (i nostri) e applaudono intanto di cuore i Rodriguez e i loro fratelli.
Gian Paolo Ormezzano