04/05/2012
La cartina con le tappe del 95° Giro d'italia (immagine e copertina Ansa).
Il 95° Giro d’Italia è anche il primo della serie puramente manageriale per quel che concerne l’organizzazione: può essere un male, può essere un bene. Dal 1909 della prima edizione c’era stato sempre, sulla plancia di comando, un uomo non solo di sport, ma anche di ciclismo: dai padri fondatori, giornalisti della Gazzetta dello Sport, al mitico Vincenzo Torriani ed ai suoi allievi, sino al vicedirettore della “rosea” Angelo Zomegnan patron “breve”.
Adesso il responsabile massimo, Michele Acquarone, viene dalle stanze dei bottoni della Rcs di cui è direttore delle attività sportive ma non specificamente ciclistiche, quella Rcs padrona della corsa che il 5 parte, con una breve cronofrazione, dalla Danimarca piatta e abbastanza asettica in fatto di corse in bicicletta, però altamente munifica per pagare lo show, e lì resta altri due giorni: tre prove che soltanto in caso di maltempo potranno incidere sulla corsa.
Poi volo in Italia, il giorno di riposo, e la ripresa con una cronometro a squadre a Verona: per ritrovare una prova a cronometro individuale bisognerà attendere l’ultimo giorno, quello del circuito a Milano: in tutto neanche 40 km di gara contro il tempo.
Ivan Basso (Ansa).
L’insieme delle 21 tappe (si finisce il 27) dice di 3504 km, media 166 per tappa. Le montagne sono abbondanti, ma non come lo scorso anno, quando fecero paura a troppi che pedalavano al Giro d’Italia ma pensavano soprattutto a preparare il Tour de France. Gli arrivi in salita sono sette, uno il penultimo giorno sullo Stelvio (Cima Copi a quota 2758).
Nello stesso giorno si scala due volte, dai due versanti, la presunta terribile Alpe di Pampeago. Siccome si dice da sempre che sono i corridori e non le strade a fare grande una corsa, cerchiamo i corridori di presunto valore. Che sono purtroppo pochi. Che per fortuna non sono in preponderanza stranieri.
I partenti sono 198, 63 i nostri, 22 le squadre, di cui 5 nostre con sponsor più appassionati che ricchi. Assortitissime le nazionalità, il ciclismo ormai ha allargato i confini a tre continenti (ancora poca Asia e niente Africa).
L’Italia propone per la maglia rosa finale tre nomi: Michele Scarponi che ha vinto a tavolino l’edizione 2011, per la squalifica di Alberto Contador (poi fattosi stranissimamente appartato e remissivo), Ivan Basso che ha 35 anni, ha vinto il Giro nel 2006 da grande campione, ha rivinto nel 2010 dopo avere scontato un lungo stop per doping, e Damiano Cunego che ha vinto nel 2004, una vita fa, e sta in squadra con lo stesso Scarponi. Il nostro pedalatore forse più forte, Vincenzo Nibali, si riserva per il Tour che, senza Contador al via, autorizza sogni grossi.
Attesa anche per Domenico Pozzovivo e Enrico Gasparotto. Fra gli stranieri si raccomandano Frank Schleck, lussemburghese, fratello maggiore del più celebre Andy, il venezuelano José Rujano, il ceco Joseph Kreuziger dell’Astana. la petrosquadra ricchissima, emanazione diretta del governo del Kazakistan, capitale appunto Astana, che ha già nelle sue fila Gasparotto e che sta corteggiando Nibali con offerte da asso del calcio, il francese John Gadret e lo spagnolo Joaquim Rodriguez.
Con la stagione divisa in tre parti (classiche di primavera; Tour de France e -quest’anno - anche Olimpiadi; classiche d’autunno e Mondiale), diventa difficile al Giro trovare una sua identità forte, non oscurata dai lavori in corso e in corsa soprattutto di chi sogna la maglia gialla. Stesso problema per la Vuelta, il Giro di Spagna, che magari serve a ben preparare la corsa iridata di un giorno solo, ma che per vitalità del ciclismo iberico fa concorrenza forte al Giro sul piano dell’interesse preventivo.
Comunque basteranno un po’ di montagna epica per rivedere la folla appassionata ai lati delle strade impervie e qualche volata (di chi dei nostri però non si sa, intanto che sono fortissime le prenotazioni di traguardi da parte dell’inglese Mark Cavendish) per le belle scene di massa all’arrivo. Sembra in effetti che nel Bel Paese l’amore di popolo per le pedalate sofferte sia immarcescibile inossidabile imprescindibile impermeabile inaffondabile, nonostante crimini e misfatti e idiozie e ignoranze proterve dei corridori ammaliati dal doping o addirittura dopingdipendenti, e nonostante il caos delle leggi e dei regolamenti che dovrebbero identificare e colpire la chimica proibita.
E c’è persino chi, come lo stesso Basso che ha pagato le colpe sulla sua pelle con coraggiosa dignità, sostiene che il ciclismo è bene avviato sulla strada della pulizia vera, mentre sport con poco antidoping valido stanno appena cominciando la strada della pulizia magari finta.
Così che in fondo può piacere, e può essere condivisa, l’attesa fiduciosa per la reazione della tifoseria che, nonostante una stampa sportiva specie scritta che sembra volere, per puritanesimo magari ipocrita e per carenza di thrilling del genere postmoderno/estremo, ridurre il ciclismo a sport minore, e nonostante la mancanza di campioni “enfants du pays”, continua ad amare le corse, e il Giro su tutte.
Davvero si può pronosticare che basteranno un po'di fachirismo pedalato in montagna e magari qualche nome italiano vecchio o nuovo per il solito alleluia della (troppo?) brava gente.
Gian Paolo Ormezzano