23/05/2011
Il Giro d’Italia riposa, da martedì le ultime tappe balorde assai. Subito una cronoscalata al Nevegal, poi ancora tanta montagna, sabato su fino al Sestriere dopo la scalata dura al Colle delle Finestre, domenica cronochiusra a Milano. Roba da ulteriore spappolamento degli italiani di fronte allo spagnolo Contador, che ha dominato o controllato la tre giorni di strasalita: Grossglockner di venerdì, Zoncolan di sabato, Giau e Fedaia di domenica.
Contador che o vince o fa vincere uno spagnolo (l’ultimo appunto domenica), Contador che stacca Nibali e Scarponi, anzi ormai si deve dire Scarponi, secondo in classifica generale, e Nibali terzo. Molto semplicemente Contador è il più forte: di questo Giro e del ciclismo tutto. Importante è battersi per poterlo battere casomai una luna storta riguardasse anche lui. E’ una norma comportamentale dello sport: Gimondi quando arrivò sulla scena Merckx provvide ad arrivare secondo in attesa di qualche défaillance del primo, cosa che accadde.
Esaurite a questo punto le considerazioni sportive, che ci paiono comunque di buona qualità anche nei riguardi dei nostri ciclisti, possiamo passare ad alcune considerazioni particolari, che il ciclismo si porta dietro pure nelle sue occasioni più festose, come è appunto il Giro d’Italia (roba da ricordare gli sposi che dopo la cerimonia partono in auto, trascinando i barattoli rumorosissimi che gli amici hanno attaccato al veicolo).
1) La festa di popolo, specialmente sulle montagne difficili da raggiungere, è sempre calda ed imponente, anche se il dominatore è spagnolo e anche se aleggiano il lutto per la tragedia del pedalatore belga e il permanente incubo di doping; da questo punto di vista con la montagna in tante tappe non si esagera mai. In sostanza, la montagna fa sempre bene, e se ci sono poi le sacrali complicazioni atmosferiche meglio ancora… La grandine finale sullo Zoncolan è stato un effetto scenico coi fiocchi.
2) La partecipazione è tutto sommato civile, ed i fischi sullo Zoncolan per Contador erano persino comprensibili, se si pensa che ad un favoritismo verso la maglia rosa certa gente, evidentemente troppo ottimista nei riguardi dei nostri pedalatori forti e duri, ha ascritto la doppia variazione, addirittura in corsa, della tappa alpina di sabato scorso, vanificando le fatiche di chi aveva a lavorato per la messa in sicurezza (reti, barriere, materassi..) della temuta discesa dal Crostis, e soprattutto se si pensa che fischiando il leader si pensa – provvisoriamente e per eccesso di amore… - di fischiare tutta la corsa, cioè nella fattispecie l’organizzazione di essa.
3) A loro volta gli organizzatori hanno detto di doversi sottomettere ad un diktat della Federazione internazionale, preoccupata di un bis della tragedia del povero ragazzo belga morto sulla strada il terzo giorno di corsa e capace anche di infischiarsene della volontà degli stessi pedalatori coraggiosi. Da notare che il conseguentemente ridotto chilometraggio della tappa può essere interpretato come un vantaggio al leader Contador o come un vantaggio ai nostri: davvero a piacere.
4) La vis popolare del ciclismo è comunque dimostrata anche nei problemi: se nella Val di Susa gli anti Tav, i nemici cioè del progettato treno iperveloce da Torino a Lione, minacciano di bloccare la tappona che porta, il penultimo giorno, il Giro d’Italia al colle del Sestriere, è perché si pensa che la palestra sia ottima, la vetrina sia in piena luce. E preso atto di ciò, espressi addirittura i complimenti al ciclismo per come sa parlare alla gente e farla parlare, auspichiamo una protesta civile, non un blocco della corsa che sarebbe davvero un danno per tutti ed un’occasione di “guerra civile” fra poveri.
5) Il fatto che il 9 giugno Contador sia atteso da una sentenza da parte del massimo tribunale internazionale per affari di doping, sentenza relativa alla presenza di clenbuterolo “vietato” emersa in un esame relativo al Tour de France 2010, non sembra particolarmente turbare né lui né il ciclismo mondiale: casomai turba gli organizzatori del Tour, i quali non hanno ancora deciso chi ha vinto la loro corsa (lo spagnolo appunto rischia la maglia gialla conquistata sulla strada). E questo può dire anche che il ciclismo è giunto ad un punto tale di saturazione psicologica, o se vogliamo di orgoglio, per cui, essendo una delle poche discipline che praticano un serio antidoping, non ci sta più a fare da sfogatoio del perbenismo di tanto altro sport.
Gian Paolo Ormezzano