03/12/2012
Cerioni con i fiorettisti d'oro (Ansa).
Londra 2012 è alle spalle, Rio de Janeiro 2016, in
apparenza, di là da venire. Ma il futuro non è un coniglio che si possa
estrarre dal cilindro all’ultimo minuto. E Rio probabilmente si gioca, molto
più di quanto si pensi, proprio in avvio di 2013, anno postolimpico, in cui in
vetrina non succede quasi niente e dietro le quinte invece quasi tutto.
In chiusura di 2012, in particolare, sono accadute due cose
importanti: Giulio Tomassini e Stefano Cerioni, maestri artefici dei successi
del fioretto recente (Vezzali, Trillini, Di Francisca, Errigo, la laceratissima
nazionale maschile… tanto per fare qualche nome), hanno preso il volo per altri
lidi, allettati da offerte economiche straniere difficili da rifiutare, per
numeri uno al mondo. Impossibile biasimarli. Anche il mercato dello sport
olimpico è diventato globale, quel che nel calcio, nella pallacanestro, nella
pallavolo accade da tempo, è una realtà ormai anche per gli sport piccoli e
tecnici (si veda la marcia di Damilano diventato Ct della Cina). Con la
differenza che in questi ultimi i maestri e la loro sapienza fanno una
differenza significativamente maggiore.
Il problema, in tempi di crisi, è che non avendo
disponibilità economiche per rilanciare cifre in grado trattenere i transfughi,
né per acquistare a prezzi competitivi la concorrenza (si pensi al dibattito in
corso sulla Pellegrini e Lukas) lo sport italiano rischia di perdere per strada
un altro dei forzieri che storicamente portano medaglie. In questo caso il più
ricco: quella scherma che da sempre ci mantiene, con poche altre discipline per
pochi abilissimi eletti, tra i migliori dieci Paesi ai Giochi.
Finora la scherma ha garantito la continuità che altre
discipline, con più concorrenti e minore specificità tecnica, non hanno saputo
mantenere. A Rio potremo dirlo ancora? Molto dipenderà da quanto si è seminato
in termini continuità tecnica, da quanto sapere è stato tramandato. Sappiamo
che Elisa Di Francisca affiderà il suo futuro a Giovanna Trillini, già
campionessa di razza jesina, diventata maestro d’armi, superando l’esame
previsto dall’Accademia nazionale della scherma, meno di un mese fa.
Ma è chiaro che non sarà quell’esame
brillantemente superato a determinare il futuro, mentre è probabile che lo sia
quanto Giovanna Trillini ha respirato in questi anni di palestra jesina accanto
a Cerioni. Molto, non tutto perché il rapporto tra un maestro e un campione è
anche una relazione a suo modo unica tra due unicità, dipenderà infatti dal
bagaglio, più o meno grande e stivato negli anni, che Cerioni avrà consegnato a
Giovanna Trillini prima di partire.
La scherma italiana finora è stata capace di far crescere e
tramandare quel prezioso bagaglio, lo sarà ancora, oggi che chi parte diventa
un avversario? Lo vedremo a Rio.
Ma è un fatto che in tanti sport, laddove i
ferri del mestiere c’erano, non si è stati capaci, in Italia, di creare attorno
ai bravi tecnici una scuola significativa, in grado di sopravvivere ai loro
pensionamenti, alle loro partenze, alle loro dipartite. Troppe volte il sapere
dello sport è stato colpevolmente gestito come la roba verghiana, con quel
senso di “dopo di me il diluvio”, di “roba mia venite con me”. Speriamo che
stavolta non accada e che si capisca una volta per tutte, prima che sia tardi, che il nostro futuro, non solo sportivo, sta già camminando sulle gambe di chi ci cresce accanto.
Elisa Chiari