13/04/2011
L'esultanza dei giocatori dello Shalke 04 dopo aver eliminato l'Inter.
Non c’è stata nessuna risata di massa quando da tribune anche importanti, anche molto seguite e sinanco credute, qualcuno ha detto che l’Inter poteva rovesciare in Germania il 2 a 5 patito a Milano nei quarti di andata di Champions League contro lo Schalke 04, evitando così al calcio italiano la sparizione completa di ogni sua squadra nel mondo delle grandi manifestazioni europee.
Il fatto è che da noi ci sono tipi che credono ancora che il calcio italiano abbia virtù e risorse soprannaturali. Ci hanno abituato (male) i nostri veri stregoni storici, cioè Italo Allodi e il suo epigono Luciano Moggi, gente che non giocava e neppure stava in panchina, eppure faceva pensare, spingeva a pensare che qualsiasi risultato fosse raggiungibile dalla squadra che aveva la fortuna di averli come direttori generali o qualcosa di simile o di derivato, ad esempio specialisti in arbitri morbidi.
Adesso però è tempo di valutazioni se possibile attente, serie, non emotive. Se tutte diconsi tutte le squadre italiane sono uscite prestissimo, presto, comunque neanche in semifinale o finale, dalla Champions League e dall’Europa League (Coppa dei Campioni e Coppa Uefa, per dirla con parole frequentate a lungo), una ragione deve esistere. Se non la troviamo vuol dire che il nostro calcio ci ha abituati, con le sue opulenze e flatulenze, a supervalutare l’importanza del denaro (chi ha pensato alla corruzione ha la coda di paglia, noi intendiamo denaro soprattutto come investimento) senza considerare l’odore di esso.
Ma se cerchiamo appena un po’ seriamente, nei fatti e dentro di noi, ci dobbiamo accorgere che il nostro calcio di vetrina manca di entusiasmo, ora che si è spenta l’efficacia del doping da molti soldi, sia perché usato anche da altri sia perché se i molti soldi diventano troppi soldi finiscono per ammosciare anziché eccitare, addormentare anziché scatenare, divizzare anziché responsabilizzare (vedasi il caso di Ibrahimovic, ricchissimo e però molto irritabile e dunque molto squalificato).
Poi ci dobbiamo accorgere che non riusciamo più a presentare sulla ribalta che conta prodotti validi del nostro vivaio. Le più grosse squadre italiane sono come il Chelsea inglese del milionario russo (in sterline) Abramovic, il compro-tutto-io: e infatti anche il Chelsea di (ancora per poco, temiamo) Ancelotti è fuori dalle semifinali. Tengono questi tedeschi di Gelsenckirchen, persino poetici come ad esempio nel riciclo del vecchio Raul ex Real Madrìd, svettano gli spagnoli dello stesso Real e soprattutto del Barcellona, squadre che hanno un gran vivaio giovanile, più importante dei Mourinho e Guardiola in panchina, si confermano gli inglesi del caro a tutti Manchester United, una congrega di persone che credono ancora nei colori sociali, nella tradizione, nella spinta popolare, nella poesia dell’impegno massimo.
Poi dobbiamo ammettere che questa volta, e come non mai prima, le nostre squadre sono tutte, davvero tutte uscite di scena senza poter mettere avanti la minima recriminazione sull’arbitraggio brutto e cattivo, sulla sorte malvagia, sulla perfida casualità del gioco del pallone. Fuori tutte senza storie, emblematica l’Inter che doveva fare (ma come?) l’impresa del 4 a 0 da qualificazione miracolosa e che ha dovuto accontentarsi, senza ovviamente accontentarci, di perdere questa volta soltanto per 2 a 1. Con il tramonto di Leonardo, Leonardo non "da vinci" ma "da perdi".
Adesso ci trasferiamo tutti sul grande meraviglioso campionato italiano, dove già salgono miasmi, tipici delle ultime fasi, di partite accomodate, di cedimenti pilotati, e però anche dove vengono espresse le squadre che il prossimo anno ci rappresenteranno in Europa. E’ il gioco dell’oca, sempre si torna alla casella di partenza, il tragico è che le oche siamo noi. Ricordiamo che questo 2011 è senza uno straccio di campionato mondiale o europeo o olimpico, per fare finta, sperando, di essere sani, è una stagione in cui ormai si mangia soltanto il minestrone di casa, dicendo che è sano e fa bene. Il che magari è vero, ma lo diciamo adesso che il caviale è stato tutto portato via dalla nostra tavola.
Gian Paolo Ormezzano