Comunque vada, va bene così

Tra poche ore, a Kiev, la Nazionale incontra la Spagna in finale. Difficile fare pronostici ma gli azzurri sognano di vincere anche per ridare credibilità al calcio italiano.

30/06/2012
Mario Balotelli in un contrasto con Gerard Pique (foto e copertina Ansa).
Mario Balotelli in un contrasto con Gerard Pique (foto e copertina Ansa).

Mettiamo che l’Italia perda la finale europea contro la Spagna. Que reste-t-il de nos amours? Napolitano e Monti debbono spiegare cosa fanno lì a Kiev. Prandelli diventa un minus habens, per di più incapace di cogliere il frutto generosamente messogli alla portata dal caso e da un ragazzone/ragazzaccio italiano di pelle scura che adesso sembra in squadra a sua (di Prandelli) insaputa, angelicato da chissà quale magia, mentre è stato il citì a volerlo, a imporlo anche quando undici italiani su dieci avevano deciso che Balotelli era deleterio, arrogante, incapace di essere presente quando il dovere lo chiamava.

 
Per fortuna che c’è il calciomercato e poi arriva il campionato, e i club che hanno limitato il lavoro di Prandelli negandogli gli azzurri per gli allenamenti si riprendono, ovviamente fra gli applausi generali, tutta la scena, anche grazie ai gaglioffi fatti italofili solo dai soldi (Balotelli almeno fa soldi inglesi in Inghilterra).

Mettiamo che l’Italia vinca la finale europea contro la Spagna.
Studiosi attenti del nostro costume intanto che del 4-2-4 ci spiegano che lo sport è metafora della vita e il calcio è metafora del paese, ce lo dimostrano con la stesa intensità con cui altre volte si sono impegnati a dimostrarci il contrario.
 
Lo stesso Gianni Brera che pure era davvero un grande spiegava, se le sue beneamate milanesi vincevano, che Milano era ricca e capace e il calcio trionfante era la logica espressione di questa salute, se perdevano spiegava che una città ricca e prospera ha ben altro di bello da fare che occuparsi di calcio. 

E se Milano era povera e inetta e però vinceva nel calcio? Ecco il calcio come reazione positiva, logica,alle brutture “altre”. Se invece Milano perdeva anche nel calcio? Ecco il pallone adeguato con le sue vicende alla vicenda tutta della polis, mica esiste più la cupola asettica e infrangibile sottola quale lo sport si muove estraneo al resto del mondo…

Il commissario tecnico Cesare Prandelli (Reuters).
Il commissario tecnico Cesare Prandelli (Reuters).

Estote parati, dicevamo i gesuiti. Siate pronti. A tutto da parte di tutti. La Nazionale etica di Prandelli (immodestissimamente siano stati forse i primi a chiamarla così) può diventare la Nazionale tisica, se corre di meno di una Spagna che ha avuto un giorno di riposo in più (e grande colpa diventerebbe allora averci illusi con le possibilità di recupero, visto che si è battuta e bene la Germania che di giorni di riposo in più ne aveva avuti due).


Balotelli e Cassano possono ridiventare i due bad boys. Per fortuna non c’è sul seggiolone del potere un Berlusconi che accusa il citì Zoff di non avere fatto marcare Zidane da Gattuso, ma il berlusconismo ormai è un virus che attanaglia troppi di noi. E che si vinca o si perda, sempre si evolve (?) acrobaticamente in sapienza anzi saccenza calcistica.

Naturalmente comunque vadano le cose si smarrisce l’opportunità di dare il giusto valore all’esperienza azzurra, con l’uso sapiente del magnifico blocco juventino (Buffon Chiellini Barzagli Bonucci Marchisio e più di tutti Pirlo, la maggioranza nella squadra Italia, applausi riconoscenti di Prandelli all’amico Conte) e la trasformazione di De Rossi in libero (il ruolo dunque non era morto) e leader, con la rivalutazione prima etica che agonistica e tecnica di Cassano e Balotelli.
 
E magari si chiede al tirbunale di Scommettopoli, se non un’amnistia, almeno la non durezza contro un calcio – in caso ovviamente di vittoria nella finale - che dà tanto al paese in crisi, o - in caso ovviamente di sconfitta nella finale - contro un calcio che se prende un’altra botta crolla tutto, mentre adesso ci fa da pane e companatico. Le vie dell’ipocrisia, dell’adattamento sporco, della disinvoltura immorale o amorale sono infinite.

Aspettiamo di, paventiamo che, speriamo che non. E se proprio non osiamo pensare troppo in grande, o a preventivare una delusione troppo forte, per non dire una partita troppo decisa dal caso, dagli episodi spiccioli, molto spiccioli, cerchiamo almeno di raccogliere la lezione complessiva di questo tutto sommato grande campionato europeo, la cui organizzazione ad un certo punto è addirittura parsa scippata all’Italia: dove nell’insieme ci sono state poche intemperanze del pubblico (anche quello ucraino allorché all’Ucraina è stato negato un gol regolare contro l’Inghilterra), dove gli stadi sono stati pieni sempre, dove soprattutto si è giocato un buon calcio, quasi sempre bene arbitrato.

E dove la lezione barcellonese del palleggio fatto prioritario è stata capita bene dall’Italia specialmente, intanto che la stessa Spagna in certi momenti è parsa prillare su stessa, avvitarsi sul proprio gioco complicato. La Spagna senza centravanti (Torres intermittente e deludente, Llorente non ritenuto maturo, Puyol, il terzino che sa battersi anche nell’area avversaria, infortunato). Essì, la sparizione del centravanti, dell’uomo di punta inteso come ariete di sfondamento, è di tutto il calcio europeo, Germania e Inghilterra e Portogallo comprese, e casomai Balotelli, invitato fortemente da Prandelli a stare avanti, a ”dare profondità”, ha rappresentato insieme il residuo di un ruolo e l’invenzione di qualcosa di nuovo, che forse targherà un’epoca.


Qualcosa a cui Prandelli magari aveva pensato quando, naturalmente fra la perplessità quasi generale dei nostri sessanta milioni di tecnici, “follemente”, quasi provocatoriamente non aveva convocato le punte Matri e Quagliarella e Pazzini e Borriello e Gilardino e Osvaldo…

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