24/06/2012
L'abbraccio tra Gigi Buffon, che ha parato un rigore, e Prandelli (foto del servizio: Reuters).
Le ventottesima partita del quattordicesimo campionato
europeo di calcio, il quarto di finale fra Italia e Inghilterra, è stata la
prima di tutto il torneo a chiudersi senza nessun gol alla fine dei 90 minuti
regolamentari più eventuale recupero. Ma non è stata sicuramente un festival
del catenaccio o della noia, anzi.
Gli stessi due tempi supplementari non sono
stati malamente trascinati, come spesso accade, da atleti spenti impegnati ad
andare verso la serie dei rigori. E ai rigori l’Italia, nonostante un errore di
Montolivo, distrutto ma alla fine resuscitato dai compagni, ha eliminato
l’Inghilterra col tiro decisivo di Diamanti, è passata alla semifinale, ha
preso a Kiev gli applausi di tutti, anche degli inglesi.
L’Italia di Prandelli
ha giocato decisamente bene, senza complessi di inferiorità diciamo storica, senza
paure di inferiorità atletica. Una spettacolare traversa di De Rossi all’inzio
è stata metabolizzata senza problemi: sfortuna e amen. Idem per un palo
picassiano, con strana traiettoria della palla, di Diamanti, bella new entry,
nel finale. Nell’insieme del match l’Italia ha attaccato molto di più, ha tirato
molto di più, ha meritato molto di più.
I due tempi supplementari sono stati
giocati nella metà campo e spesso anche nell’area inglese. I giocatori azzurri più
attesi ma anche più discussi, Cassano e Balotelli, si sono comportati bene, uno
spendendosi sino all’esaurimento fisico, l’altro conservando un buon equilibrio
nervoso nonostante il marcamento assillante degli avversari e gli errori suoi
legati alla voglia di evidenziarsi. Il portiere inglese Hart è stato fra i
migliori in campo, diciamo che ha parato alla Buffon.
Tutto il bene che eravamo riusciti a pensare della
Nazionale “etica” di Prandelli ci è parso ben riposto e corrisposto, tutte le
speranze che la Nazionale si liberasse, per valore assoluto e/o per magia
relativa, dai miasmi di Scommettopoli, sono state esaudite.
La partita perfetta,
sotto tutti i punti di vista, non ha protagonisti di spicco speciale: nel senso
che tutti hanno giocato bene. Nel senso che da anni non vedevamo l’Italia
giocare così bene, così serenamente bene, così umilmente bene quando è arrivato
il momento (venti minuti di pressione inglese, quelli e basta, dal 15’ al 35’
del primo tempo) di fare un calcio operaio, così classicamente bene quando la bella
banda azzurra ha evidenziato sul terreno
una supremazia che per curiosi accidenti dinamici non si è tradotta in gol.
Non c’è troppo da
dire su una partita così chiara, così giusta, così degna. Casomai ci sarebbe da
indagare sul cosa Prandelli ha dovuto fronteggiare e superare per dare ai suoi
serenità e forza, autentica forza anche fisica che li ha portati a restare validamente in campo anche in
debito di ossigeno, con le tossine a invadere i muscoli. Il “timore” è che Prandelli si sia limitato a
fare il buon padre ed il tecnico saggio: sarebbe quasi una delusione, dopo
tanto farneticare intorno a maghi da panchina premiati dalla nostra
dabbenaggine e dai nostro soldi.
C’è già da dire,
ecco, della semifinale del 28 a Varsavia, Italia contro Germania, un
superclassico pieno di agganci, di ricorsi, di echi (l’altra semifinale,
Spagna-Portogallo del giorno prima, al confronto sembra una faccenduola di
supremazia iberica, con verifica delle smanie di grandezza del lusitano
Cristiano Ronaldo). Giocheremo con nelle gambe 30 minuti in più dei tedeschi, e
godendo di due giorni in meno per il recupero, e non potendo disporre di tutti
per acciacchi e (Maggio) squalifiche.
Teoricamente la Germania dovrebbe rullarci. Più o meno come dovevano rullarci
la Spagna alla partita di avvio del torneo europeo (fu 1 a 1, un pochino stretto
per noi) e l’Inghilterra il giorno di san Giovanni che, pur patrono o
vicepatrono di metà comuni d’Italia, non ha dovuto fare pro nobis nessun
miracolo.
Gian Paolo Ormezzano