Juve, assedio alla prima della classe

Primato in campionato, mercato che punta sui giovani e stadio redditizio di proprietà fanno della Juve una squadra apprezzata dai propri tifosi ma invidiata dalle altre pretendenti.

31/01/2013
L'allenatore e il capitano della Juve: Antonio Conte e Gigi Buffon (Ansa).
L'allenatore e il capitano della Juve: Antonio Conte e Gigi Buffon (Ansa).

La Juventus è più amata o più odiata? Probabilissimamente salda prima in Italia per numero di tifosi in amore, anche se Inter e Milan e persino Napoli ogni tanto provano a sbandierare una classifica diversa, sicurissimamente prima in Italia per raccolta di odio (sportivo, parente stretto dell’invidia), sembra attualmente impegnatissima a fondere le due posizioni in un mix di tipo nuovo.
Il suo stadio di proprietà è quasi sempre esaurito e vi si recitano funzioni a sfondo anche erotico del sano erotismo sportivo, con però punte balorde di razzismo e aggressività che presto potrebbe portare alla squalifica del campo. I suoi interventi sul mercato privilegiano i giocatori giovani (Progba, 19 anni, francese di colore, ultimo grosso caso) ed evitano spese folli che pure un Agnelli (Andrea) presidente potrebbe permettersi, ovviamente passando per la finanziaria di famiglia: lasciar perdere Drogba è stata cosa buona e giusta.
Ha scelto un allenatore caldo, sanguigno, ex bianconero, se del caso provocatore, come Antonio Conte, che ha patteggiato e scontato una lunga pena per colpe che sostiene di non avere (errore degli stessi suoi avvocati, proclama) e che adesso è squalificato per intemperanze antiarbitrali dopo la partita col Genoa, quella del rigore negato al 93’, senza ricorso perché lui e il club hanno deciso insieme così.
Ha la sua bandiera sabauda in Claudio Marchisio, torinese borghese, che si lascia scappare la definizione di “antipatico” a riguardo del Napoli minaccioso in classifica ma poi sfuma, ritocca, finisce per parlare di rivalità da campo, insomma studia da Boniperti.

Gran pasticcio, gran cocktail, gran bazar, gran fenomeno questa Juventus, con Conte che adesso, persa la semifinale di Coppa Italia, adotta la linea dell’ironia inglese (lo dice lui stesso, e pazienza se uno che è ironico di solito non preavverte di esser tale): “Nessun rigore contro la Lazio, in area laziale Vucinic simulatore e Giovinco deboluccio, pensiamo alla Champions League, oltre che allo scudetto che però si vince vincendo le partite”.
Il banale che diventa pungente. Scelta, sua e forse anche del club, del profilo basso. Nessun speciale ricorso per la squalifica di Bonucci, ma solo il normale iter d’appello (Chiellini è indifendibile, era in borghese ed è entrato, in campo a far caciara, senza autorizzazione), ricorso studiatissimo attento per il direttore generale Marotta che in trent’anni mai era stato inibito, e stavolta lo è per atteggiamento minaccioso e irriguardoso verso gli ufficiali di gare.

Nuova oratoria juventina, dunque, addirittura sincronizzabile col rinnovatissimo ricordo di Gianni Agnelli, a dieci anni dalla sua morte, di lui che diceva, proprio parlando dei club che nel mondo del calcio piangevano ingiustizie: “Lamentarsi è da provinciale”. Chissà se è tutto calcolato o se davvero si sia arrivati a pensare che esagerare con i lamenti è insieme assurdo e controproducente, se si fa parte del Palazzo, oltre che irriguardoso nei riguardi del grande nonno di Andrea Agnelli. Il quale Andrea comunque, non frenato dalla Storia, ama la polemica, lo ha dimostrato in Lega, dando e prendendo colpi dialettici non da poco.

Questa Juventus comunque rimane in testa alla classifica, con 3 punti sul Napoli, registra dati sempre migliori sul rendimento economico dello stadio di proprietà, si accaparra giovanissimi talentuosi, ha già preso per la prossima stagione Llorente spagnolo attaccante over 1,90 e in questo campionato prova Anelka, francese stagionatello col palmarès bello grasso. Ha fatto moltissimo per essere amata, sta facendo abbastanza per essere odiata cioè invidiata, rivendicando la sua nobiltà di lombi, il suo essere unica nella raccolta vasta di tifosi fuori Torino e anzi in tutto il mondo, il suo albo d’oro, e facendo fronte con un organico tutto sommato ricco agli infortuni che hanno preso a perseguitarla, dopo una lunga tregua che aveva deluso e quasi quasi insospettito le rivali.
La maglia juventina più venduta è sempre quella di Del Piero che adesso giochicchia a Sydney, Australia, ma forse soltanto un club severo, sicuro, pratico, efficiente come quello bianconero avrebbe saputo bene metabolizzare un addio di questo contorto tipo, pochi mesi prima di farsi in casa, con un contratto prolungato e dichiarazioni di amore bianconero eterno e profondo, un Del Piero bis che si chiama Buffon.

Gian Paolo Ormezzano
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