Il calcio europeo e il ballo dell'allenatore

Mourinho, Ancelotti, Benitez, Mancini... E in Italia Mazzarri, Allegri... Si cambia perché serve o tanto per cambiare?

23/05/2013
José Mourinho (foto del servizio: Reuters).
José Mourinho (foto del servizio: Reuters).

La finale del calcio europeo di club, cioè la partita che decide la Champions League, il 25 nello stadio londinese di Wembley, fra due squadre tedesche, il Bayern di Monaco e il Borussia di Dortmund, ha patito e sta patendo concorrenze assortite sul piano dell’interesse: nel senso che si parla soprattutto di allenatori, sulla stura, se si vuole, del profondo cambiamento che proprio il Bayern si accinge ad affrontare. Sì, perché dopo la partitissima chiude con il club Jupp Heynkes, che a 68 anni giura di pensare alla pensione, e arriva Pep Guardiola, lo spagnolo anzi il catalano che ha lasciato il Barcellona portato da lui alla supremazia mondiale e si è regalato, con la moglie e le due figlie, un anno sabbatico a New York.

Non c’è nel calcio di oggi nulla di più distante dal calcio “breve” e orizzontale di Guardiola (il quale in Italia ha giocato poco nella Roma e due anni nel Brescia, per fortuna sua senza imparare niente di brutto), che chiama i suoi calciatori, di stazza non eccezionale ed esaltati dall’ex nano Messi, a un intenso palleggio, che il calcio “lungo” e verticale del Bayern attuale, tutto lanci decisi e atletismo, senza superassi ma senza figli di dei minori. Guardiola, 42 anni, cambierà se stesso o il Bayern cambierà Guardiola? L’interrogativo è appassionante per taluni, interessante e persino divertente per noi, spettatori di un balletto dei tecnici che una volta dava le sue meglio rappresentazioni in casa nostra.

L’Italia senza soldi dà il suo contributo allo show, ma soprattutto per linee interne. Mazzarri che lascia il Napoli per l’Inter tutta da rifare, Allegri che, promosso da Galliani ma bocciato da Berlusconi, il quale gli preferisce Seedorf, non dicono molto alla Wall Street delle panchine. Conte che rimane alla Juventus e Montella che rimane alla Fiorentina sono non notizie. E’ non notizia ma “dice” molto quella di Guidolin che rimane a Udine, dove lavora in tranquillità e sta bene in pace con il se stesso tenace, competente, civilissimo, magari appassionato più di ciclismo che di calcio, il che non guasta.

Diceva il grande Nereo Rocco che un allenatore è bravo se quanto meno non fa danni. La deificazione del ruolo è cosa che parte da lontano, dagli anni Sessanta del “mago” Helenio Herrera, ma che per ragioni mediatiche ha avuto un enorme incremento ultimamente, anche sul piano dei guadagni. L’allenatore è ormai la faccia del club davanti alle telecamere e ai taccuini dei giornalisti, tocca a lui tenere viva l’attenzione quando non c’è la partita, ma anche durante la partita se ci sono occasioni teatrali di proteste.

Si è, grazie anche agli immensi guadagni propiziati da investitori o da sciuponi russi e arabi, creata in Europa una consorteria di allenatori celebri, entrare nel giro è difficile, una volta nel giro si esce soltanto se si fanno errori enormi. Così ecco che il Real Madrid liquida Mourinho che non ha vinto abbastanza anzi ha patito troppo l’odiato Barcellona e lo sostituisce con Ancelotti che al Paris Saint Germain ha vinto il facile titolo francese e ha ancora un anno di contratto. A Parigi fanno finta di voler trattenere Ancelotti che ovviamente, se restasse lì, farebbe il suo lavoro senza motivazioni, ma intanto trattano Benitez. Il quale viene liquidato dal Chelsea che prende anzi si riprende Mourinho, vecchio amore. Fuori dal giro resta Mancini, liquidato dal Manchester City, ma adesso va di moda anche l’anno sabbatico, dunque per ora nessun problema.

Non esistono ragioni perché Ancelotti faccia bene dove Mourinho ha fallito, e Mourinho dove Benitez ha deluso, ma bisogna cambiare per far sapere che si è vivi e vigili e ricchi, capacissimi di pagare cinque milioni di euro uno che è bravo soprattutto se gli metti a disposizione i giocatori migliori. Tutto un bluff, una farsa, ha ridda di percentuali di agenti furbissimi alle prese con magnati persino più ambiziosi che scemi.

Massimiliano Allegri.
Massimiliano Allegri.

Con pochi soldi in circolazione, l’Italia dà comunque il suo contributo. Allegri patisce nel Milan una commedia infinita recitata dai burattinai Berlusconi e Galliani, gli dicono che se arriva terzo rimane sulla panchina, arriva terzo (a spese di una Fiorentina defraudata da arbitraggi come minimo scarsi) e pensano di sostituirlo con Seedorf, un ex calciatore rossonero così poco esperto che Berlusconi potrà giocare comodamente a fare lui l’allenatore. Allegri viene annunciato alla Roma, che è andata dalla zeta (Zeman) alla a (Andreazzoli) senza soddisfazioni vere. Sempre a Milano, nell’Inter sfasciata Moratti per un po’ fa finta di volere dare ancora fiducia a Stramaccioni, una delle poche facce nuove e low cost, annuncia che sta meditando profondamente intanto che cerca l’accordo con Mazzarri il quale ha appena finito di dire che il Napoli è la squadra che lui ha costruito e che ama profondamente.

E chi va al Napoli? Benitez, si dice, poi si fa notare che c’è Mancini libero, e intanto che il presidente De Laurentiis dice monellescamente che il nuovo allenatore avrà il nome anzi il cognome che comincia per M: Mancini ma anche (secondo cognome, quello della madre, come usano gli spagnoli, Benitez Maudes). La Juventus che conferma Conte, dopo alcuni mal di pancia del mister biscudettoso, appare persino noiosa.

Valzer, domino, tarantella, scacchi. Nessuna ragione logica perché Tizio che ha fatto male qui debba fare bene là. Il Manchester United che sostituisce l’icona Ferguson, autopensionatosi, con un economico prodotto “suo”, Moyes, fa persino tenerezza, come un club indigente. E nessuno crede a una lunga vita di Ranieri, nonostante il nome principesco, confermato dal Monaco risalito con soldi russi nella serie A francese e subito lanciatosi in acquisti folli per arrivare in fretta ai vertici di un campionato tutto sommato ancora poverello, anche se non più poveraccio.

Gian Paolo Ormezzano
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