03/08/2012
L'allenatore della Juventus Antonio Conte. Tra Federcalcio e la società torinese è di nuovo muro contro muro dopo le richieste di squalifica di un anno e tre mesi per il tecnico Antonio Conte e per il suo vice Angelo Alessio (Ansa).
Chissà se i veri appassionati di calcio, nel senso di gioco e non di perenne teatrino dei nostri difetti enfatizzati, esasperati, enucleati del tutto dal concetto vero e sano di sport, riusciranno, un anno o l’altro, un secolo o l’altro, un millennio o l’altro, a concedersi una vacanza nella pineta del buon senso, dell’onestà, della non partigianeria, ad andare ad abitare la faccia buona del satellite Tifo, dove si pratica l’amore per i propri colori e non l’odio per tutto ciò che non sta in sintonia con questo amore? Siamo assolutamente pessimisti, e quello che sta accadendo tra la federazione e la Juventus a proposito di Antonio Conte ci rafforza “maledettamente” in questo pessimismo.
Dovrebbe essere chiaro che non è possibile che tutta la ragione stia da una parte, tutto il torto dall’altra. Che se il club bianconero a Torino ha deciso, magari senza l’accordo pieno di Conte, restio a riconoscersi comunque colpevole, di andare verso il patteggiamento, qualcuno a Roma doveva averlo consigliato di fare così. Che però alla Juventus hanno creduto di poter imporre loro le condizioni del patteggiamento, istituto che sino a prova contraria è però modulato dal giudice, non dall’imputato. Che la giustizia federale, offesa, ha reagito chiedendo per Conte una pena forte, che magari al via del procedimento non si sognava di chiedere. Che la Juventus non può continuare a dirsi bersaglio di tutte le ingiustizie (e perché non chiedersi casomai il perché?), come fa dal 2006, quasi fosse un club piccolo e nero e non la società più amata e incoronata e spesso riverita d’Italia. Che la federazione dovrebbe rimarginare la prima ferita, quella dello scudetto 2006 assegnato troppo frettolosamente all’Inter.
Luigi Chiappero, avvocato del vice allenatore della Juventus Angelo Alessio (Ansa).
Che però è assurdo e provocatorio l’atteggiamento della Juventus che si attribuisce trenta scudetti
ignorando una giustizia federale che essendo umana non è perfetta, ma
che in mille altre occasioni della sua lunga storia le ha fatto comodo
accettare. Come è possibile pensare che si possa anzi debba andare avanti così, che
da Torino si minacci una marcia su Roma, che a Roma prima si prospetti
indulgenza poi si eserciti severità eccessiva? Che il resto del nostro
calcio assista a questo teatrino senza volere anche per sé una parte, e
importante, per sporca o sporcante che possa essere? Che appassionati
“naturali” e appassionati drogati o sfruttati (anche dalla politica) non
usino presto o tardi le tensioni per le loro bieche strategie? E come è possibile dirsi o almeno pensarsi sportivi perché si sa
cogliere il bello dei Giochi olimpici e poi perdersi nelle pochezze,
nelle miserie di questo calcio?
Il procuratore federale Stefano Palazzi al suo arrivo al Foro Italico di Roma, dove si celebra il processo al Calcioscommesse (Ansa).
E se non ce la fa il Coni a fermare la rissa, ce la deve fare il
governo (Monti potrebbe riprendere la parola), o si rischiano intrusioni
forti e magari non competenti e quindi deleterie? Non abbiamo certezze, non presumiamo di sapere bene cosa fare.
Semplicemente, e pensando che anche la stampa sportiva abbia le sue
colpe, vogliamo confessare la nostra debolezza e intanto dire che non
crediamo più a nulla se non alla magia: per cui nel calcio magicamente i
dirigenti ed i tifosi ragionino, nel mondo delle scommesse magicamente
si fermino i signori del crimine della truffa, nelle stanze dei bottoni
magicamente si pensi alle asole e non alle pressioni sui bottoni stessi
(ché poi se fossimo bottoni ci offenderemmo per l’accostamento con i
pomelli che, premuti, scatenano le guerre).
Gian Paolo Ormezzano