01/08/2012
Daniele Molmenti commosso si prende l'abbraccio del rivale Aigner.
Era accaduto con Enrico Fabris a Torino 2006, quando l'Italia senza tradizione né impianti, frantumò i sogni dei pattinatori olandesi. Risuccede oggi con la canoa fluviale di Daniele Molmenti, oro di una specialità, lo slalom, per cui nei confini dello stivale non esistono impianti olimpici artificiali. Un giorno imprecisato, nel tempo olimpico che contiamo a quadrienni come gli antichi greci, accade che un campione ci trascini vincendo dentro uno sport antico come il mondo che normalmente non abita tra noi.
Come i pattini ipertecnologici di Fabris erano eredi lontani dei pattini d'osso ritrovati in Svizzera 1.700 anni fa, già costruiti dagli scandinavi in legno, ossa d’alce o corna di renna, fin dagli albori della civiltà, per spostarsi senza traumi negli inverni coperti di ghiaccio, così il kayak di Molmenti, ipertecnologico anche lui, assottigliato in poppa e a prua per passare sotto i paletti senza incorrere in penalità, è figlio dei tronchi che gli antichi scavavano, in luoghi diversi della terra, per domare le rapide dei fiumi.
Come Fabris in vista di Torino anche Molmenti, che in questi anni ha vinto tantissimo nel silenzio generale, ha avuto bisogno di migrare per andare a cercarsi un impianto in cui costruire la sua medaglia d'oro e questo dà al suo successo qualcosa di prezioso al limite del miracoloso. A Torino gli olandesi attoniti chiesero quanti atleti tesserati ci fossero dietro le medaglie dei pattinatori azzurri di velocità: quando si sentirono rispondere ottanta, capirono ottantamila. A loro modo capirono male a ragion veduta: sarebbe naturale credere che l'oro sia sempre la punta di un iceberg. Vai a spiegare che a volte sotto c'è soltanto il legnetto di un ghiacciolo. Se rompi quello non resta niente. Molmenti lo sapeva. Ma non ha tremato.
Elisa Chiari