14/04/2012
Piermario Morosini, in primo piano (foto del servizio: Ansa).
Vigor Bovolenta moriva in campo e parlavamo
dell'imponderabile che attraversa tutte le vite. Ma è stato appena 20 giorni
fa. Oggi muore, accasciandosi su un altro campo Piermario Morosini calciatore
del Livorno, e lo sport deve farsi altre domande.
Cominciare a chiedersi se sia
così normale, così passivamente accettabile morire di sport a 25 anni, se
questo possa essere ascritto semplicemente all'imponderabile o se, invece, ci
sia qualcosa di serio da fare per prevenire il prevenibile, per arginare quel
poco di arginabile che anche l'imponderabile comporta.
Ci sono cardiologi, come Danila Schieri che
chiedono da tempo che ogni impianto sportivo abbia un defibrillatore, per
risparmiare minuti che possono salvare vite. “Non tutto è prevedibile",
spiega la dottoressa Schieri, interpellata da Rainews a margine dell'ultima
tragedia, " non sempre uno screening è in grado di individuare e prevedere
patologie genetiche e patologie aritmiche che nulla hanno a che fare con la
malattia coronarica e che non si vedono alla prova da sforzo. Il fatto che non
si possano prevedere non significa che non si possano prevenire dotando gli
impianti di un defibrillatore“.
La Federazione ferma il calcio e le partite,
forse dovrebbe fermarsi anche a riflettere su questo sport che chiede sempre
superprestazioni, che non si ferma mai, che addomestica il calendario alle
esigenze delle Tv, che non si chiede fino a dove e fino a quando si possa
spremere un corpo e chiedergli di recuperare, sempre meglio e sempre prima.
Troppe volte le cronache del pallone e dello sport in genere sconfinano in
bollettini medici, troppe volte lo sport professionistico fa i conti con corpi
che si rompono e che devono essere riparati a tempo di record, perché - lo dice
prima di tutto il fatto che i club premono perché si paghi penale per gli
infortuni subiti dai giocatori in Nazionale - gli infortuni costano, sono
inciampi nella corsa alla vittoria, interrompono indebitamente lo spettacolo
che deve continuare per definizione.
E tante volte si sente, al bar e su Internet che
è solo un bar più grande, il discorso dell'uomo della strada: "Con quello
che guadagnano dovrebbero correre altro che così". Ma ci si dimentica che
non c'è prezzo che possa riparare un uomo che cade a pezzi, perché i pezzi di
ricambio per quanti sforzi si facciano non li hanno ancora inventati. E,
comunque, le cicatrici restano.
Si chiama limite umano ed è una cosa difficile da
spiegare a un mondo, il nostro tutto non solo lo sport, che vive appeso alla
logica a volte cieca del mercato.
Elisa Chiari