09/04/2012
Casey Stoner, l’australiano della Honda campione del mondo 2011 (Ansa).
E’ cominciato nel giorno di Pasqua in Qatar il Motomondiale GP della crisi. Crisi del settore e crisi personale di Valentino Rossi, decimo, del quale sarebbe troppo semplice scrivere che è del 1979 mentre Casey Stoner, l’australiano della Honda campione del mondo 2011 e Jorge Lorenzo, lo spagnolo della Yamaha suo rivale massimo, sono del 1985. Ma prima di andare avanti (se non in pista, almeno nelle considerazioni…) con il Nostro, diciamo che la prima gara è stata vinta bene da Lorenzo, davanti a Dani Pedrosa altro spagnolo e a Stoner superato nel finale, cioè da una Yamaha davanti a due Honda. Rossi su Ducati appunto decimo, e mai in gara. Forse è semplicemente finita la sua era strepitosa, con nove titoli mondiali dal 1997, finita perché sì, è la legge del tempo, forse lui è stanco dentro, forse la spalla non vuole guarire del tutto, forse il “dottore”, definitivamente ricco, ha deciso di esser tale anche nell’usare i tanti soldi che ha anziché nell’accumularne altri, forse i rivali sono davvero fortissimi, forse la Ducati non ce la fa a migliorarsi e il sogno di una moto italiana che vince il Mondiale con un italiano, cominciato lo scorso anno, deve restare tale.
Valentino Rossi tra gli altri piloti del Motomondiale (Ansa).
Il personaggio Rossi fa parte del panorama ottimo massimo del motociclismo di velocità, che solo in Italia conta su una quindicina di milioni di potenziali osservatori delle sue vicende, non soddisfatti dall’ascesa di Andrea Dovizioso (classe 1986, per la Yamaha terzo nel 2011, ma a colpi di piazzamenti, dietro a Stoner e Lorenzo e davanti a Pedrosa spagnolo su Honda) e ancora sotto choc per la morte di Marco Simoncelli detto Sic, guascone pieno di numeri alti. Valentino sembra avere, oltre ai problemi tecnici spartiti con la sua moto, quelli esistenziali: dare un senso alla sua fortuna economica, ad esempio, ora messa in regola anche col fisco. Così da Londra sembra essersi spostato per tanti giorni dell’anno a Tavullia, così al paesello ha aperto una pizzeria, così ha avviato un negozio di oggettistica firmata da lui, e persino un centro per i tifosi, così ha creato una pista fra gli ulivi e dentro i vigneti. E si è pure concesso dei baffetti da manager.
Rossi ai box della Ducati (Ansa).
Con la Ducati, a contratto rinnovato sino a fine 2012, il rapporto è ben teso, in tanti sensi. Proclami di lavoro tanto, e in comune, ma anche inevitabili rimproveri ai tecnici per certi ritardi. Lui fa il pilota, insomma, non anche l’ingegnere. Se dopo un pezzo di stagione Rossi, settimo lo scorso anno nella classifica iridata, miglior risultato un terzo posto, dovrà ancora lottare con un mezzo palesemente inferiore, si potrebbe realizzare una clamorosa novità: o il suo passaggio, sia pure sperimentale, temporaneo, nel circus delle Motobikes più “borghesi”, dove c’è Max Biaggi ma c’è soprattutto una Ducati che sa vincere con lo spagnolo Carlos Checa, strabiliante nonostante i suoi trentanove anni, o addirittura un suo tentativo di fare dell’automobilismo veloce (quello da rally è già stato provato senza particolari entusiasmi) addirittura con la Ferrari, che potrebbe anche stancarsi di un Felipe Massa che ad ogni giro prende un secondo da Ferdinando Alonso, stessa vettura.
Pronti-via, comunque, per diciotto gare, sino a Valencia l’11 novembre, con maggioranza di circuiti “latini: quattro in Spagna, due in Italia (Mugello e Misano), uno in Portogallo. Ventun piloti, per cominciare, dei quali sei spagnoli e cinque italiani (Rossi e Dovizioso più i tre “P” debuttanti: Pasini Petrucci Pirro). E con – ecco la crisi – appena tre case ufficiali: Honda, Yamaha e Ducati. L’addio di Aprilia, Kawasaki e Suzuki dice che ormai certe spese devono essere ridimensionate, e infatti si parla di un tetto di 15 milioni massimi per scuderia. Intanto che “sale” la categoria delle Crt (in inglese “Claiming Rules Team”, squadra che può reclamare ruoli altrui, leggi motori), cioè il gruppo di moto da GP assemblate acquisendo a prezzo politico i motori dalle aziende costruttrici ufficiali e godendo di alcuni contorti privilegi del regolamento per colmare il comunque persistente gap tecnologico.
lo spagnolo Jorge Lorenzo, vincitore della prima gara della MotoGp in Qatar (Ansa).
Anche la Ducati dà vita ad una scuderia del gruppo Crt. Comunque la sfida massima rimane fra moto ufficiali o satelliti, cioè di scuderie legatissime alla casa madre. Lorenzo iridato nel 2012 contro il campione del mondo in carica, o se si vuole lo spagnolo “mantequilla y martillo”, burro e martello, morbidezza e aggressività nella guida, a seconda delle circostanze, contro l’australiano “Rolling” Stoner. E Pedrosa (altro spagnolo, quarto nel 2011) contro questi due. Possibili colpi di mano e di manopola dell’acceleratore di due statunitensi come Nicky Hayden ottavo nel 2011 sulla Ducati ufficiale, accanto a Rossi e Ben Spies su Yamaha. E il “dottore” subito lì dietro, pronto – si spera - a colpire chi si rilassa, lui che rilassarsi non può, almeno quando è in pista, almeno sino a che è in pista.
Ma il problema vero non è forse se lui è pronto a fare definitivamente a meno del sé stesso vincente, quanto se siamo noi italiani, poveri di campioni nel motorismo tutto, pronti a fare a meno di lui.
Gian Paolo Ormezzano