Natascha, la vittoria è di casa

Natascha Keller, portabandiera della Germania, 35 anni, ha una storia particolare: la sua famiglia, dal nonno ai fratelli, è tutta di campioni olimpici di hockey su prato. Il suo sport.

30/07/2012
La delegazione tedesca durante la sfilata inaugurale. Natascha Keller porta la bandiera. Foto Afp/Getty Images. La foto di copertina è dell'agenzia Dpa.
La delegazione tedesca durante la sfilata inaugurale. Natascha Keller porta la bandiera. Foto Afp/Getty Images. La foto di copertina è dell'agenzia Dpa.

La storia di Natascha Keller, 35 anni, portabandiera della Nazionale olimpica tedesca ai Giochi di Londra, è molto interessante e divertente, anche se trattata da un Oscar Wilde redivivo che ci occupasse di sport rischierebbe di diventare occasione di una colossale ancorchè ammirata presa in giro di una di una famiglia (Oscar Wilde non scrisse anche di sport, e ci manca). La famiglia è quella di questi Keller berlinesi che sembrano essere venuti al mondo per giocare a hockey su prato, il che forse non è il massimo della vita: come sport, fra l’altro, questo hockey spartisce con i suoi due “fratelli”, l’hockey su ghiaccio cioè con pattini e quello su parquet cioè con rotelle, una caratteristica poco, come dire?, atletica, quella di impegnare i suoi praticanti a stare curvi (sul ghiaccio meno che sul parquet e sul prato), quando portano avanti la palla usando bastoni appositi e anche quando tirano in porta.



 Natascha Keller durante una gara di hockey su prato. Foto Reuters.
Natascha Keller durante una gara di hockey su prato. Foto Reuters.

Dal punto di vista dell’espansione toracica soltanto il ciclismo lì per lì appare più penalizzante. Poi gli atleti ci sono lo stesso, eccome, ma l’idea di uno sport “curvato” esiste e resiste. Trattasi comunque di sport che ha una sua bella dignità olimpica. Gli inglesi lo esportarono specialmente in due loro colonie, l’India e il Pakistan, dove i nativi fecero in fretta ad amarlo, anche per imitare cioè scimmiottare i “padroni”, a praticarlo con intensità, ad arrivare ai vertici delle classifiche mondiali ed a restarci. Sino al 1972 dei Giochi di Monaco erano loro a dominare, la Germania al massimo frequentava il podio olimpico. L’hockey su prato fra l’altro sempre respingeva, ed ancora respinge, gli assalti dell’hockey a rotelle che vorrebbe spodestarlo dal cartellone olimpico estivo ma che ha perso la straordinaria occasione di farsi largo nel cartellone durante il ventennio abbondante di presidenza del Cio affidata a Samaranch,lo spagnolo ex giocatore appunto di hockey a rotelle, sport dove il Portogallo è il Pakistan, la Spagna è l’India, l’Italia ogni tanto fa un po’ la Germania. 

                                                 

Natascha Keller. Foto Dpa.
Natascha Keller. Foto Dpa.

Ma torniamo alla famiglia Keller. Questa Natascha è il primo portabandiera donna della Germania dal 2000, succedendo a Birgit Fischer canoista. A Pechino l’alfiere tedesco era stato Dirk Nowitzki, stella germanica nella Nba del grande basket Usa: Natascha si è informata presso di lui del peso di asta e bandiera, prima di dirsi felice per la designazione. Natascha che è figlia di Carsten medaglia d’oro nell’hockey su prato in quel fatidico 1972 della svolta olimpica, Carsten che è figlio di Erwin il quale aveva conquistato il bronzo nel 1936, quando neppure il “doping” nazista ce l’aveva fatta a spingere anche lì la Germania all’oro. 

Ma c’è pure Andreas fratello maggiore di Natascha il quale ha vinto l’argento olimpico nel 1984 a Los Angeles e nel 1988 a Seul, per finalmente arrivare all’oro nel 1992. E c’è Florian, fratello minore, che ha cominciato tardi a vincere grosso, ma subito ha preso l’oro, a Pechino 2008. Natascha ha vinto l’oro ad Atene 2004, occasione della consacrazione olimpica anche femminile dell’hockey su prato tedesco, ha disputato oltre 400 partite per la Nazionale, ha segnato più di 200 gol. Lei non lo sa, ma è cittadina onoraria virtuale di due città italiane, i nostri due poli strani e interessanti dell’hockey su prato, Bra in provincia di Cuneo e Cagliari, dove tecnici e giocatori indiani sanno tutto della Keller, e di fronte alla sua bravura si tolgono il cappello, anzi il turbante.      

Gian Paolo Ormezzano
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