08/06/2013
Muhamma "Alì" Ndiaye con la moglie Federica e i figli Moussa e Maria Aissatou (foto del servizio: V. Zagnoli).
Faceva il vu' cumprà, stasera a Brindisi (diretta su Sportitalia2, dalle 22,30) si batterà per il titolo europeo dei supermedi, da favorito contro il francese Christopher Rebrasse. Muhammad “Ali” Ndiaye, nato in Senegal, è fiero di essere italiano, grazie al matrimonio con una siciliana, celebrato il 12 agosto del 2002.
Muhammad, incontrò per caso Federica Sabella su un treno preso a Firenze Rifredi. “Era il pomeriggio del 2 gennaio 2002, lei viaggiava per tornare a casa, a Sciacca, provincia di Agrigento. Io andavo a vendere collanine a Pistoia, al mercato settimanale: viaggiavamo sullo stesso vagone, seduti di fronte, e io la guardavo, anche mentre camminava”.
- Cosa le chiese di comprare?
“Nulla, perchè avevo messo tutto dentro una borsa, Federica non poteva sapere cosa portassi con me, nè il mio mestiere”.
- A un certo punto lei doveva cambiare convoglio...
“E allora mi disse: “Prega Dio che trovi un brav’uomo”. Le chiesi il numero di telefono, me lo scrisse su un foglio giallo. Aspettai che il treno partisse, fu davvero amore a prima vista”.
- Le nozze appena 8 mesi dopo e poi due figli.
“Moussa, 4 anni, e Maria Aissatou, un anno il 2 luglio. Grazie al matrimonio mi è arrivata la cittadinanza italiana, nel 2004. Senza di lei sarei ancora in giro per le strade, a vendere quel che capita”.
Muhammad "Alì" Ndiaye bambino con il padre e Muhammad Alì-Cassius Clay.
- Com’è diventato campione di boxe?
“Nove anni fa vinsi il titolo dilettanti a Maddaloni, nel Casertano. Nel 2005 sono passato professionista con un procuratore di Roma che mi ha fatto solo perdere tempo. Per fortuna poi ho trovato il manager milanese Salvatore Cerchi che con la sua Opi2000 ha valorizzato anche Giacobbe Fragomeni e Silvio Branco”.
- Chi le ha trasmesso la passione per la nobile arte?
“Papà Moussa. Per 5 volte fu campione senegalese, era grande amico di Muhammad Ali, al punto che mi chiamò come lui”.
- L’ha mai incontrato?
“Mi vide quando nacqui, a Pikine, periferia di Dakar: avevo 5 mesi, era l’ottobre del 1979 e fu la sua prima visita in Senegal. Nel 1989 ritornò da ambasciatore Unicef per conto degli Stati Uniti, all’aeroporto lo accolsero i miei genitori: mi fece giocare in hotel, a 10 anni, ma ho pochi ricordi”.
- Così gli ha inviato La boxe nell’anima, la sua biografia.
“Mi ha risposto con una cartellina autografata, un giorno vorrei stringergli la mano”.
- La famiglia Ndiaye è ancora in Africa?
“Sì. E mi manca, a partire da mamma Aissatou. Sono il maggiore di 6 fratelli, il più piccolo ha 8 anni, e 5 sorelle. Uno faceva pugilato in Italia, si chiama Papa, a 25 anni è a New York, fa il pizzaiolo e boxa per passione. Un fratello, Bamba, l’ho perso 4 mesi fa a 28 anni, per un tumore, qui a Pontedera”.
Moussa Ndiaye, padre di Muhammad "Alì" Ndiaye, a suo tempo cinque volte campione del Senegal.
- Come giudica la proposta del ministro Josefa Idem, di offrire la cittadinanza per meriti sportivi?
“E’ giustissima, le auguro di applicarla. Ci sono giovani che potrebbero diventare campioni e non possono farlo, bisogna dare una possibilità a tutti: basterebbe un solo parametro, il rispetto delle leggi e delle persone”.
- Conosce atleti che meriterebbero di diventari italiani?
"Anche a Pontedera ci sono pugili promettenti, alcuni vengono dall'Albania, ma non hanno i requisiti per la cittadinanza. Altri non possono arruolarsi nelle forze armate, pur parlando la nostra lingua e sentendosi italiani”.
- A 34 anni che sogni ha?
“Vorrei diventare campione del mondo, come Alessandro Mazzinghi, pure di Pontedera. E, quando smetterò, mi piacerebbe diventare vigile del fuoco: è un bel lavoro, si aiutano gli altri e dal 2005 sono volontario a Pisa, al punto che il comandante provinciale Marco Fredda mi permette di combattere con il logo VVFF. E con quel corpo vorrei aiutare i bambini senegalesi, là le inondazioni sono frequenti, c’è bisogno di interventi, anche sul piano sociale”.
- Come coniuga il professionismo sportivo con l’impegno da pompiere?
“Posso rispondere a 5 richiami l’anno, ciascuno da 20 giorni, per un compenso di mille euro per ogni periodo. Capita di saltarne quando devo dare il massimo negli allenamenti. Del resto si fatica a vivere di pugilato, solo un grande titolo porterebbe una borsa notevole: il nostro sport non ha pubblicità, le tv latitano, è tutto bloccato”.
- A 32 anni Federica fa la mamma?
“Intanto è casalinga. Però frequenta un corso di sartoria e in futuro andrà a lavorare”.
- Oltre che italiano, è diventato anche cattolico?
“No, resto musulmano”.
Vanni Zagnoli