21/03/2011
Lo stile di Casey Stoner (Honda), vincitore in Qatar.
Il più popolare campione dello sport italiano di questi ultimi anni, il probabilmente più forte pilota motociclistico di tutti i tempi, tutto sommato il più divertente personaggio del nostro sport, addirittura il più simpatico e tollerato e pentito fra i grandi evasori fiscali del bel mondo dello show business, insomma Valentino Rossi, è in crisi non solo tecnica per ritardi tecnici del suo bolide o presunto tale, ma anche fisica perché la sua spalla ferita in gara non vuole guarire del tutto, nonché psicologica perché è o meglio dovrebbe essere lui il ministro del culto nel rito di matrimonio, finalmente celebrato dopo tanta sua convivenza felce e prospera con firme giapponesi, fra il motociclista e la motocicletta più cari agli italiani: lui e la Ducati.
La prima delle diciotto prove del Motomondiale GP (cilindrata 800 alla fine, dal 2012 cilindrata1000), nel Qatar, avvio di una stagione che durerà sino al 6 novembre, GP di Valencia, è andata male a Rossi, a Vale, al Dottore, settimo ma non mai in gara. Come stra-annunciato dalle prove ha dominato con la Honda l’australiano Casey Stoner, 26 anni, babycampione mondiale nel 2006 proprio con la Ducati, la sua moto sino alla fine del 2010. Si parla di un cambio speciale, si dice che la casa giapponese ha qualche segreto, visto che un progresso così vistoso è assai più difficile da spiegare dell’immobilismo della casa italiana.
Dietro a Stoner lo spagnolo Jorge Lorenzo, 24 anni, iridato lo scorso anno con la Yamaha e dunque convivente con Rossi prima di diventare il ras indiscusso della scuderia. Poi lo spagnolo Dani Pedrosa, Honda come Stoner, quindi due italiani (romagnoli) su Honda, Andrea Dovizioso, 25 anni, e Marco Simoncelli, 23 anni. Insomma, fra Rossi e il primo posto pure una sorta di paratia anagrafica. Perché anche se si pensa sempre a lui come ad un folletto dalle reazioni semplici, genuine , bambinesche, capobanda degli allegri compagni/fans che lo seguono nel mondo, Rossi ha 32 anni ed era già campione mondiale nel 1997 (Aprilia 125).
Stiamo parlando di uno che ha vinto 9 titoli mondiali dei quali 7 nella MotoGP, (4 con la Yanaha e 3 con la Honda), di un campione capace di recuperi clamorosi, di un personaggio al quale la difficoltà estrema fa da stimolo estremo. Rossi ha persino accettato ridendo la provocazione di Stoner: “Meglio avere come rivali pericolosi i due spagnoli che l’italiano, perché lui in gara è scorretto”. Ha agito così perché sicuro di sé, o perché, intelligente e dunque conscio dell’inevitabile declino, sta preparando filosoficamente e dialetticamente l’occaso? Dobbiamo realisticamente mettere in conto anche l’attività prossima ventura, squallida ma purtroppo probabile, ovviamente in caso di crisi perdurante, degli avvoltoi e dei maramaldi, tutti intorno anzi addosso a Rossi ed alla sua motocicletta.
Pensiamo comunque che il problema non sia tanto di Rossi e della Ducati che sa di dover fare e dare di più, ma di noi tifosi, noi ammiratori, noi estimatori del campione. Ci ha abituati per tantissimo tempo troppo bene, ci ha fatto pensare che se si è smagati, disinvolti, spiritosi, reattivi non ci sono tsunami della sorte o corrosione carsica del tempo che possano piegarci. Ha vinto e stravinto, ha spesso riso degli sconfitti ma quasi sempre si è fatto comunque anche da loro apprezzare, ha sciorinato scherzi “pubblici” per conto anche di noi che crediamo che lo sport possa essere ancora, oltre che un lavoro che può far guadagnare milioni di euro, oltre che un mestiere dove bisogna sempre tenere gli occhi bene aperti e coltivare sempre l’arrivismo travestito da umana ambizione, la furbizia travestita da legittima difesa. un “posto” di agonismo sano anche se esasperato, di comportamenti onesti anche se disinvolti.
Prossima gara il 3 aprile a Jerez, in Spagna, poi il 24 aprile a Motegi in Giappone, se ci sarà un Giappone di nuovo in piedi. Per contratto, nazionalismo, adesione al sogno italiano, Rossi deve essere ottimista. Per tradizione, prestigio, palmarès la Ducati autorizza a essere ottimisti. Ma noi dobbiamo sin d’ora avviare l’impegno, lo studio, l’allenamento per continuare ad amare uno sport anche se non c’è quello dei nostri che vince per tutti noi e ci fa sentire, convocandoci alle sue allegrie, ai suoi sorrisi, ai suoi trionfi, bravi e forti e sicuri.
Gian Paolo Ormezzano