06/08/2012
Alex Schwazer (Ansa).
L'ultima speranza dell'atletica italiana è morta. Suicida. Ed è una tristezza infinita constatare che se ne va dall'Olimpiade di Londra ricacciata indietro con biasimo, assieme a quello che credevamo il suo uomo migliore: Alex Schwazer. Anche noi ci avevamo scommesso perché la storia che ci avevano raccontato sembrava diversa, e invece è stato cacciato dai Giochi prima di arrivarci per un recente controllo antidoping positivo all'Epo.
La delusione, che allunga un'ombra, forse ingiustamente retroattiva, anche su una delle più belle medaglie olimpiche che ci sia capitato di raccontare, l'oro della 50 km di Pechino, è enorme. Assomiglia al lutto sportivo di quando, più o meno ragazzi, perdemmo per sempre la fiducia immacolata nello sport di vertice con la squalifica di Ben Jonson dopo Seoul 1988.
Potrebbe bastare per non riuscire più a raccontare un'impresa sportiva, credendoci, sperandoci, per finire a farlo sempre, con il freno a mano tirato, come se fosse soltanto uno sporco mestiere. Viene anche il dubbio che lo sia, con la sola consolazione di essere stati, nel caso, testimoni inconsapevoli. Spiace, più di tutto, perché Alex Schwazer sembrava migliore, perché ci aveva raccontato una bella storia di speranza e di riscatto: parlava di sé dicendo di essere uscito dalle sconfitte come un uomo più forte.
Un laboratorio di anti-doping (Ansa).
Peccato, Alex, ci spiace infinitamente doverlo dire, ma un uomo non bara al gioco, non cade in questa trappola. Un uomo si guarda allo specchio e ammette i limiti, accetta di perdere e di non tornare. Perché tornare così non serve a nessuno. Veder vincere così non ci interessa.
E ora forse bisogna chiedersi se non ci sia nello sport una grande questione morale.
Vien da chiedersi, nel massimo del pessimismo, se il talento per lo sport sia ancora qualcosa che vorremmo augurare a un figlio. D'instinto stasera diremmo di no. Se non avessimo visto in azione ieri sera Giorgio e Tania Cagnotto, la dignità della loro infinitesimale sconfitta, diremmo di no. E invece con davanti quell'esempio riusciamo ancora a dire di sì. Ma con una certezza lapidaria: degli ori taroccati non sappiamo che cosa farcene. Meglio un legno doloroso e dignitoso. E, siccome siamo tra quelli che hanno celebrato Schwazer da vincitore e l'abbiamo difeso da sconfitto (a Berlino 2009, a Barcellona 2010) possiamo dirlo con serenità, senza temere di essere accusati di scendere al volo dal carro, nei momenti difficili.
E adesso sarebbe bene che il Coni, che ha avuto il merito e il coraggio di togliere dalle mani a Schwazer il biglietto dell'aereo per Londra, e con lui tutti gli adulti che crescono, a titolo diverso con vari ruoli, i ragazzi nello sport si interroghino sulla cultura che dentro lo sport si respira, che si chiedano se sanno ancora insegnare che non c'è medaglia che valga la dignità.
Elisa Chari