15/01/2012
Ogbonna, Osvaldo e Balotelli durante un ritiro della Nazionale (foto: Ansa).
Figli di uno sport straniero, minore o maggiore, ma comunque straniero. Per gli atleti professionisti, vedi Balotelli, valgono in generale le regole vigenti per i lavoratori immigrati, e in particolare l’art. 22. della cosiddetta legge Bossi-Fini, che recita così: «(Attività sportive) Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato il limite massimo annuale d'ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da sottoporre all'approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili».
Martin Castrogiovanni, Gonzalo Canale, Sergio Parisse, cittadini italiani, nazionali di rugby, nessuno dei tre nato in Italia (foto Ansa)..
Qui imparano a giocare e poi...
Per quanto riguarda invece i ragazzi, che praticano attività dilettantistica, che si formano sportivamente in Italia, che qui nascono o arrivano piccolissimi, e qui imparano a camminare, magari a correre e poi a giocare a tennis, a calcio, a rugby a cricket, il rischio è una torre di babele di norme e di carte che si sovrappongono e talvolta contraddicono tra loro.
Il risultato è una generazione di campioni potenziali, ma figli di nessuno, che si allenano ma non possono diventare campioni italiani, né indossare una maglia azzurra, finché al compimento dei 18 anni, non diventano – se ne hanno i requisiti e lo richiedono – cittadini italiani. A meno che la loro Federazione sportiva non faccia parte di una Federazione internazionale con regole diverse, di cui si recepiscono in linea di massima i regolamenti. Il pericolo, in caso di regole restrittive, è che gli atleti in erba, italiani di nascita o comunque di amici, di squadra, di scuola, ma stranieri per lo sport, si stanchino di allenarsi per sognare di vincere campionati cui potrebbero non essere ammessi, figli dimezzati di un Paese e di uno sport che li vede ma non li riconosce, se va bene, in base al capriccio delle regole internazionali della loro disciplina, regole che possono essere disparate tra loro.
L'italia che ha vinto gli Europei Under 15 nel 2009 (foto Federazione italiana cricket).
L'esempio del cricket
Alla base dei regolamenti dello sport internazionale e all’origine delle differenze ci sono problemi reali, interessi da tutelare, retaggi storici che hanno lasciato segni. Se la Federazione internazionale di atletica ha il problema di imporre regole rigide per impedire che Paesi ricchi di petrodollari acquistino letteralmente campioni con il pacchetto completo, cambiando loro nome, data di nascita e cittadinanza (è accaduto anche questo).
Se il calcio si pone il problema di arginare il pericolo della tratta di campioncini e del relativo sfruttamento, altre Federazioni internazionali, non necessariamente più virtuose ma eredi di retaggio di origine coloniale, rendono più facile la mescolanza sui loro campi. Vale per il rugby, ma ancor di più per il cricket, dove bastano sette anni di residenza in un Paese, dove basta averci giocato a cricket per un tempo prestabilito, per essere equiparati ai cittadini.
La Federazione italiana per le giovanili si è data un regolamento anche più aperto: man mano che si scende di età scendono anche gli anni di gioco richiesti. Sulla burocrazia del passaporto prevale il diritto di chi ha imparato il cricket, l’ha vissuto, amato e giocato nel posto in cui vuole giocarlo. Il risultato? L’Italia ha vinto nel 2009 il campionato europeo under 15. Solo tre dei 13 convocati erano cittadini italiani di passaporto: un sardo, un italo-cingalese e un italo-pakistano. Gli altri, tutti “padani” di residenza, erano nati in Inghilterra, in Bangaldesh, in Pakistan, in India in Sri Lanka. Ma l’Italia è il posto che chiamano casa.
Elisa Chiari