03/08/2012
La corsa d'argento di Battisti e Sartori (foto Ansa).
Dunque: c’è una squadra di atleti che si chiama Italia e che va ai Giochi di Londra. Questa squadra è nata per i Giochi di Anversa 1912, prima alle chiamate quadriennali di Pierre de Coubertin rispondevano individualmente gli italiani, quei rari personaggi nostrani che facevano allora sport e ad alto livello.
Il segretario personale del nobile francese inventore dei Giochi moderni (Atene 1896), il conte piemontese Eugenio Brunetta d’Usseaux, convinse il Governo italiano ad affidare l’incarico di selezione e accompagnamento dei nostri ad un suo amico personale, un marchese (Compans di Brichanteaux). Poi nacque il Coni. Le polemiche interne alla squadra sono in genere poche, e vertono soprattutto sulla scelta del o della portabandiera (Vezzali, questa volta).
Coni e federazioni si palleggiano per tempo la preparazione e la selezione olimpica sotto tutti gli aspetti (economico, tecnico, logistico), ormai i meccanismi e i comportamenti sono rodati, come anche gli equilibri fra il pubblico ed il privato: nel senso che ogni federazione si gestisce come le pare le sue pellegrinerie. Casomai si litiga dopo, se il bilancio è in rosso. A nostra memoria ci fu un solo vero litigio sul posto all’interno della squadra Italia: Giochi di Los Angeles 1984, i calciatori contro tutti gli altri azzurri che li accusarono di non saper spartire e vivere bene la vita del villaggio olimpico. Un copione prevedibile, quasi scontato.
Poi ci sono le squadre all’interno delle varie squadre, nel senso di diversi sport, quando non ci sono anche diverse specialità all’interno dello stesso sport. Qui l’Italia delle signorie, che tanto angustiava il nostro commissario tecnico calcistico Enzo Bearzot buonanima al momento delle scelte dei giocatori per la Nazionale, snocciola una delle sue più intense rappresentazioni. Si pensi al nuoto, tre della staffetta 4x100 stile libero contro uno, Magnini, che sua volta critica i tecnici nel nome anche della fidanzata, Pellegrini.
Si pensi alla canoa, dove un Molmenti arriva all’oro per conto suo, con soldi suoi, quasi estraneo alla federazione. Si pensi, ritagliando una specialità all’interno dell’atletica, alla marcia, dove Rubino è in polemica con Schwazer, uno si allena a Saluzzo con Damilano, l’altro a Milano (e non è un gioco di parole), ognuno fa per conto suo anche se dovrebbero marciare insieme. Si pensi al canottaggio, dove Battisti e Sartori vincono l’argento nel due di coppia e quasi sbattono la medaglia in faccia ai tecnici federali che non credevano in loro…
La gioia della squadra italiana del fioretto dopo la conquista della medaglia d'oro (Ansa).
Rimaniamo ancorati al concetto vasto di squadra. Ci sono magari le
polemiche segrete, compresse, ovattate. Non vengono pubblicizzate,
forse è meglio così. Ci sono le polemiche smaltite prima, anche
chirurgicamente come per l’incisione di un ascesso: nell’atletica le
accuse alle strategie mediche a proposito della saltatrice in alto Di
Martino si sono accese e spente prima dei Giochi di Londra. Ci sono le
polemiche che in realtà sono lo sfogo di situazioni precedenti, ci sono
quelle nate sul posto. Ci sono quelle in embrione, scoppieranno poi.
In parte si tratta di fenomeni fisiologici, inevitabili, persino
opportuni. In parte di carenze caratteriali magari molto italiote.
Purtroppo spesso la gente si interessa, quasi si appassiona alle
polemiche, trascurando cose belle di segno opposto. La presenza ad
esempio nella finale a squadre delle fiorettiste della riserva, la
Salvatori, che il citì Cerioni ha mandato in pedana rischiando qualcosa,
per far partecipare anche lei, gioiosamente, al trionfo delle altre
tre, è stata una iniziativa provvida, che pochi hanno saputo apprezzare
(nel 1984 ai Giochi di Los Angeles Dorina Vaccaroni, che allora era
stata la Federica Pellegrini e che però era già all’occaso, della
squadra era davvero la quarta, la riserva, e le fecero pesare la cosa).
Il concetto di squadra comunque è ramificatissimo, e spesso ingloba complicazioni inevitabili. Ma poi, cosa è una squadra?
Fanno squadra due che saltuariamente giocano il doppio nel tennis? O
due che sempre vogano insieme? E a Londra il “biscotto” del badminton
non ha forse evidenziato l’esistenza di una supersquadra dalla
rappresentatività geografica immensa, quella che raggruppa certi Paesi
asiatici, come Cina e Corea e Indonesia, d’accordo nel non farsi del
male, a costo di perdere incontri facilmente vincibili?
E sempre parlando di squadra anzi di squadre: ci siamo accorti che a
questi Giochi olimpici che hanno imposto difficili qualificazioni
l’Italia, Paese dove il senso di gioco sportivo collettivo è persino
più forte di quello di sport individuale, come dicono le nostre glorie
calcistiche, siamo presenti solamente in due discipline di squadra, cioè
la pallavolo e la pallanuoto, sia pure con donne e uomini? Niente
basket, niente calcio, niente hockey su prato… Un caso o qualcosa su cui
riflettere?
Ci vorrebbe, per avere tutte le risposte, una squadra di esperti. Una
squadraaaaa?
Gian Paolo Ormezzano