07/07/2012
Saga, rivelazione al Tour.
Sta a venendo e persino rifinendosi al Tour de France una cosa bella e strana, che non si pensava possibile nello sport in genere e meno che mai nel ciclismo, dove la tradizione,nobile e greve insieme, sembrava avere dettato regole fisse e pesanti e frenanti nei riguardi delle novità, della stessa evoluzione che pure è insita nel darsi daffare dell’uomo .
Il ciclismo in altre parole è (era) ritenuto sport di valori fermi, “lunghi”, forti e sani, costruibili soltanto se ci sono solide basi. Il ciclismo legato alle specializzazioni (sprinter,passista, scalatore), vincolato a scelte in linea di massima irrevocabili: quello lì nasce per la pista, quello là è soltanto fatto per la strada. Un secolo e passa di Tour de France e Giro d’Italiana hanno (avevano) solidificato. radicalizzato la tipologia più forte, meglio definita e accentuata.
Lo scalatore non può essere troppo alto, deve pesare poco: leggendario
lo spagnolo Vicente Trueba,detto ”la pulce dei Pirenei”. Il muscolato
pistard che si dà alla strada al massimo può puntare su qualche volata
in corse brevi, per il resto non ha il fiato. Lo sprinter stradaiolo
quando la strada si impenna rotola in fondo al plotone. E lo scalatore
non va proprio bene a cronometro, gli manca la pedalata e rotonda del
passista.
Categorie bene definite, muri bene alzati. Le eccezioni
fatte apposta per confermare la regola: il belga Eddy M erckx vince
anche in salita pur essendo alto e pesante? Ma lui ha sin troppa classe,
se dello scalatore avesse pure l’impianto fisico chissà quali sfracelli
combinerebbe. E Fausto Coppi mica era piccolo, d’accordo, ma era
secco, magro, aveva il torace “a punta” come gli uccelli però
aerodinamico e intanto capace di contenere tanta aria, di esaltare la
capacità vitale decisiva sulle montagne. Piccoli adattamenti
dell’individuo alla categoria, ma sempre il rispetto delle tipologie e
delle specializzazioni. E se Greg LeMond diventava il primo statunitense
vincitore del Tour de France e però era uno che veniva dallo sci
acrobatico, beh’, si argomentava che questa disciplina gli aveva
affinato i riflessi, gli aveva incrementato l’audacia. Però nel suo
periodo vinceva più di lui il francese Bernard Hinault, ciclista
tipico, piccolo e tozzo.
Vincenzo Nibali.
Cambiavano caratteristiche e tipologie e anche
parametri, insomma, ma poco alla volta, magari per caso spicciolo, e
non cambiava il ciclismo, non cambiava il ciclista. Il ciclismo fra
l’altro affidato specialmente a pedalatori italiani, francesi, belgi,
spagnoli,secondo una geografia ed un’anagrafe classica. Ma adesso al
Tour de France troviamo insieme così tante novità, annunciate ma
timidamente dal Giro d’Italia, che anche soltanto elencandole alla
rinfusa non si può non pensare ad un cambiamento profondo, sostanziale,
assoluto. Di facciata e di interni, di sound (si parla inglese, ormai) e
di sostanza. Tentiamo una lista.
Il favorito alla partenza del
Tour era Bradley Wiggins, britannico, 32 anni, uno che ha vinto tutto
in pista e poi si è autenticamente messo in strada, cambiandosi la
muscolatura con opportuni esercizi. Evoluzione impensabile sino a
ieri.
Il secondo favorito era Cadel Evans, anni 35, australiano
vincitore lo scorso anno, uno che viene dalla mountain bike sino a ieri
‘altro ritenuta pratica nemica del ciclismo diciamo classico Pistard in fondo è ancora Mark Cavendish, 27 anni, il britannico che
vince le volate comportandosi come se la strada fosse un velodromo.
Viene dalla pista pure lui, e ha persino un passato breve da ballerino
di danza classica.
L’italiano VIncenzo Nibali, un favorito, ha
28 anni ed è siciliano: si dice da sempre che il Sud d’Italia non può
produrre grandi ateti da prove a tappe, troppo estro e troppo altalenare
di rendimento (lo si diceva anche del piatto ricco Belgio, prima di
Merckx).
Sopra tutto e sopra a tutti sembra imporsi la figura
di Peter Sagan, slovacco, dunque senza un briciolo di un qualche
retroterra ciclistico tradizionale, appena 22 anni, esordiente alla
corsa gialla, maglia verde della classifica a punti (stilata sui
piazzamenti) al secondo giorno di gara, capace, oltre a farsi il segno
della croce a ringraziare Iddio per una vittoria, di gesti di gaudio
persino studiati (una posa alla Mussolini, una alla Forrest Gump). Da
quattro anni in Italia, dilettante a Castelfranco Veneto poi
professionista con la nostra squadra Liquigas, un ottimo eloquio in
italiano e molti che esperti che già gli hanno consegnato le chiavi del
futuro. Sagan, capace di fare le volate, attaccare sugli strappi,
tenere bene la posizione in gruppo, resistere agli specialisti in
salita, è già stato definito un fenomeno. Non ha nessuna caratteristica
spinta che ricordi troppo specificamente questo o quel campione, questa o
quella impalcatura fisica speciale. Sembra un po’ un giovane Merckx,
ma
ci sono tanti giovani Merckx in Belgio, stando all’aspetto fisico. E' pure disponibile con i media, come i vecchi bonari ciclisti. Viene
dallo sci di fondo, dall’hockey su ghiaccio, dallo snowboard, le
discipline “fredde”dei giovani del suo piccolo paese. E’ molto probabile
che, con biciclette sempre più perfette e pratiche grazie alla rigidità
del titanio e del carbonio, con una preparazione fisica bene studiata e
non limitata da vecchi canoni, presto si vedano in bicicletta i meglio
atleti, i supermen, semplicemente impegnati a trasferire la loro potenza
sui pedali e da questi sulla bicicletta, senza problemi di agganci
tipologici. Se la strada sale, rapporto più corto, più pedalate, e
avanti così, anzi su su così. Se poi questo ciclismo, tolto ai
meravigliosi scorfani che saliti sulla bicicletta diventavano belli
(Fausto Coppi su tutti) possa competere in vetrina con gli sport estremi
dei nostri folli giorni, se insomma per esso sia un affare mettere da
parte il vecchio per il nuovo, il nuovissimo, si tratta di un altro
discorso. Ma chi pretendesse di poterlo tenere adesso sarebbe un
presuntuoso.
Gian Paolo Ormezzano