01/07/2011
La presentazione delle squadre che partecipano al Tour 2011.
Parte il 2 luglio dalla Vandea e arriva il 24 a Parigi il 98° Tour de France già promesso dal pronostico immediato ad Alberto Contador ciclista spagnolo vincitore del Giro d’Italia 2011 intanto che condannato, dalle previsioni meteorologiche di lunga gittata, a una calura tremenda. E’ pure un Tour dal disegno sadico, che alla fine presenta il conto, in quattro giorni consecutivi, di tre tapponi alpini e una frazione (l’unica) di 42 km a cronometro individuale, prima della tappa finale, liscia, che porta ai Campi Elisi.
Il primo dei tre tapponi si conclude mercoledì 20 luglio in Italia, andando da Gap a Pinerolo (dove un appassionato, Elvio Chiatellino, ha voluto regalare a se stesso e alla moglie ciclofila come lui e alla sua città un arrivo – la spesa sul mezzo milione di euro - che fra l’altro riporti alla memoria la madre di tutte le imprese, quella di Fausto Coppi nel Giro d’Italia 1949, vittorioso con 12’ su Bartali dopo cinque colli d’Italia e di Francia conquistati in solitudine. In programma tre salite “tenere” (Monginevro, Sestriere, strappo di Pramartino) in confronto all’Agnello, all’Izoard e al Galibier da scalare il giovedì per arrivare a Serre Chevalier, e al Galibier (di nuovo) del venerdì, con conclusione lassù all’Alpe d’Huez. Al confronto le giornate pirenaiche, il 14, 15 e 16 luglio, sembrano gite, e pazienza se su montagne che si chiamano Tourmalet e Aubisque.
I favoriti.
Possibile che questo Tour riabiliti il Giro 2011 accusato di profilo troppo duro e cattivo. In totale 3.500 chilometri, due giorni di riposo (l’11 e il18) ma tanti balordi trasferimenti da un traguardo d’arrivo al posto di partenza, niente abbuoni, poco cronometro, soprattutto sei giornate di grandi salite con quattro arrivi in vetta: e per i cent’anni del Galibier nella geografia del Tour l‘arrivo a Serre Chevalier, sul grande monte, a quota 2645, il più alto traguardo nella storia della corsa gialla. Ventidue le quadre, di nove corridori l’una, a rappresentare una abbastanza nuova mappa geoeconomica del ciclismo: cinque francesi ma una sola della, diciamo serie A (il gruppo Pro Tour che dà diritto al via), le altre quattro invitate cioè salvate dalla “wild card” degli organzizatori, e poi, tutte di serie A, quattro statunitensi, due italiane (Liquigas e Lampre), due olandesi, due spagnole, due belghe, una per Russia, Danimarca, Gran Bretagna, Lussemburgo e Kazakistan.
Contador, classe 1982, ha vinto il Tour tre volte (una sub judice) e il Giro due, punta quest’anno a Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta spagnola nella stessa stagione, sarebbe il primo al mondo. Soltanto ad agosto saprà dalla cassazione dello sport se il suo successo a Parigi dello scorso anno “vale”: sospetti di doping, lui dice carne avariata, la federazione spagnola lo ha assolto. Più che gli avversari deve temere l’antidoping francese, condotto anche da una polizia dai modi spicci e dall’arresto facile. Gli analizzeranno anche l’ultima goccia di sudore. E i tifosi, intanto, lo hanno fischiato alla presentazione del Tour.
Lui ha il coraggio (spudorato?) di chi si sente il più forte, anche perché ormai si parla di lui come di un grandissimo, al quale può bastare una salita per annichilire la corsa. Suo rivale massimo, per ora sulla carta, Andy Schleck, lussemburghese del 1985, al Tour due volte secondo, 2009 e 2010, dietro allo spagnolo. Suo rivale diciamo di carriera il nostro Ivan Basso, 1977, terzo e secondo al Tour del 2004 e del 2005, primo al Giro del 2006 e 2010, persino due anni di stop per doping ammesso, con pena dunque lustrale. Si è preparato bene, forse “aiutato” anche da una caduta in allenamento sull’Etna, una sosta forzata utile perché lui stava consumandosi troppo in una preparazione dura e quasi maniacale.
Il resto della corsa gialla sembra staccatissimo a priori, o limitarsi a folletti per i successi di tappa, su tutti l’inglese Cavendish. Possibili uomini da classifica il vecchio kazako Vinokurov, 1973, l’olandese Weening (1981), il nostro Cunego 1981, primo al Giro dell’ormai lontanuccio 2004.
Nessun francese vince il Tour dal 1982 di Hinault, la gente di Francia andrà comunque in massa sulle strade, paziente e fremente insieme: il Tour è un fatto anche culturale, è una nazione che si raccoglie nella “grande boucle”, il grande ricciolo del percorso. Sulle strade del Tour per vedere e testimoniare “dal vivo”, sia pure per un passaggio di pochi secondi, “come” Contador vince, non “se” vince. Per esercitare un atto di valutazione sportiva mettendoci anche il proprio sudore, con lo svincolo anche dal pathos dell’incertezza, perché ormai si sa per tempo chi passa lì davanti te, sulla strada. Insomma per darsi e dare una lezione di ragionamento: tipo andare a vedere una corsa di F1 per sentire come ruggiscono bene i motori, non per aspettare ansiosi il nome di chi vince (peggio ancora fare il telespettatore voyeur che aspetta l’incidente tutto proposto, tutto offerto da mille tecnologie). Da Contador si aspettta lo spettacolo persino più che il successo. Un momento lungo e importante per tutto lo sport moderno malato di ipotesi, misteri, agguati, thrilling ad ogni costo e ad ogni prezzo. Da non mancare: 2-4 luglio, Tour de France.
Gian Paolo Ormezzano