31/10/2012
Un allenatore a Scampia. Meglio, il massimo rappresentante dell’intera categoria. Renzo Ulivieri, presidente dell’Assoallenatori. Per lui, una giornata speciale. Una lezione presso l’Opera di Don Guanella, nel cuore della Napoli che dal buio più profondo prova a uscire verso la luce.
Un’iniziativa meritoria, quella dell’Aiac (Associazione italiana allenatori di calcio), che qui come in altri luoghi ha organizzato corsi per allenatori di base. Un modo per dire: noi ci siamo.
Un messaggio forte, che parte dal calcio e arriva al sociale.
Renzo Ulivieri (a destra), presidente dell'Associazione Italiana Allenatori, insieme a Damiano Tommasi, Presidente dell'associazione Italiana Calciatori (foto Ansa).
- Mister Ulivieri, insegnare il calcio e i valori dello sport in un luogo come Scampia è una grande responsabilità?
"Non so se lo sia, quel che so è che troppo spesso noi individui evitiamo di prenderci responsabilità. Invece ognuno dovrebbe fare qualcosa per il prossimo e per la società. La vita è anche una missione: tutti devo fare qualcosa per gli altri. E’ in questa ottica che noi allenatori abbiamo pensato a determinati progetti".
- Cosa si deve insegnare ai ragazzi, al di là degli aspetti tecnici dello sport?
"A comportarsi bene, a rispettare le regole. E’ sbagliato ignorarle ma anche imporle. Le regole vanno spiegate, perché siano comprese. E’ in questo modo che si arriva alla loro condivisione".
Un allenatore di calcio ha anche una funzione educativa?
"Non c’è alcun dubbio, soprattutto quelli che prepariamo mediante questi corsi, visto che andranno a occuparsi di bambini. Nell’educazione dei bambini viene prima la famiglia, ma poi tutti gli altri che in qualche modo hanno a che fare con loro, dagli insegnanti a scuola fino a chi li educa allo sport".
E’ un obiettivo che vi ponete?
"Senza dubbio, anzi forse è quello principale. E’ naturale che certi corsi trattino argomenti tecnici riguardanti il calcio, ma uno degli aspetti fondamentali è quello educativo. In una squadra di calcio l’allenatore deve indirizzare i ragazzi, sotto tutti i punti di vista: la sua funzione sociale, quindi, è preponderante".
- Che risposta avete avuto dai ragazzi?
"Eccellente, abbiamo riscontrato un gran seguito. E spesso anche le strutture che ci hanno ospitati sono di gran livello".
- La scelta di Scampia ha un significato particolare?
"Deriva dalla nostra volontà di trasmettere messaggi positivi, soprattutto in posti dove forte è il disagio. Scampia non è l’unico luogo dove ci sono problemi, ma uno dei tanti. Troppo spesso la disperazione porta i ragazzi a percorrere strade sbagliate. Ecco, noi ci poniamo come obiettivo quello di far comprendere come si possa uscire dal disagio seguendo le regole e aiutandosi reciprocamente. Che poi è anche uno dei messaggi del calcio giocato".
- Fuori dal campo, però, non le sembra che siano troppi i messaggi sbagliati?
"Alcuni li definirei brutali, come i vergognosi cori contro il povero Morosini. In questi casi sì che la repressione è giusta, nella speranza che serva anche a educare".
- Quali altri messaggi servono per un luogo come Scampia?
"Il nostro è soprattutto simbolico, i messaggi veri li devono dare la politica e le istituzioni".
- Parlando di altro calcio, possibile che il mestiere di allenatore sia così stressante?
"Immagino si riferisca alle esternazioni di Mazzarri".
- Già.
"Può accadere, in certi casi. Soprattutto per il modo in cui si vive il calcio, con pressioni talvolta eccessive. Può succedere che tu senta la stanchezza e decida di fermarti. E’ capitato anche a Guardiola, del resto. E in precedenza a Sacchi".
- Secondo lei è normale?
"Come dicevo, può succedere, nel calcio moderno".
- E come si fa a evitarlo?
"Tornando a vivere il calcio come un gioco".
- Possibile?
"Temo sia difficile".
Ivo Romano