17/10/2012
Vito Partipilo con una guida, durante una delle sue escursioni.
Nascere nella pianura pugliese e scalare le vette più alte del mondo. Una passione sbocciata poco più di vent’anni fa dopo essersi cimentato nelle arti marziali. “Ho sempre avuto una predilezione - dice - per l’attività sportiva all’aria aperta. Correre, sciare ma soprattutto scoprire la montagna, i suoi segreti, il suo fascino. Così, grazie ad alcuni amici di Roma, ho cominciato a frequentare i corsi di escursionismo fino ad arrivare alle prime arrampicate”. Allenamenti intensi, durissimi e quella voglia innata di sfidare se stesso, di osare verso limiti nascosti.
Partipilo durante una scalata.
Vito Partipilo, barese, 47 anni, che al suo attivo ha anche dodici maratone, ha cominciato a percorrere i sentieri della natura quasi fosse un esploratore. “Per andare in montagna, abitando in pianura -afferma - è indispensabile allenarsi costantemente con arrampicate e corsa. L’alpinismo è qualcosa di affascinante ma dovendo affrontare pericoli oggettivi occorre accettare il rischio con una buona dose di responsabilità e di attenzione”.
Nell’88 la prima salita sul Pollino. Poi, Gran Paradiso, Monte Bianco, Cervino, Monte Rosa. Il battesimo di fuoco avvenne a fine dicembre del 2006, con l’ascesa dell’Aconcagua, nelle Ande, la vetta più alta delle Americhe a quota 6.966 metri. “E’ stata un’esperienza fantastica che ho condiviso con altri due amici baresi, Michele De Santis e Domenico Ognissanti. Quando sono arrivato in cima ho deposto un’icona di San Nicola (il patrono di Bari ndr) ai piedi di una croce, incastrandola fra due massi per difenderla dal vento. Ho provato delle emozioni irripetibili”.
Il fisico longilineo e agile (un metro e 80 per 69 chilogrammi), le mani che somigliano ad artigli e soprattutto il grande spirito di avventura hanno spinto Vito Partipilo verso imprese sempre più entusiasmanti e coinvolgenti. Nel 2007 si è inerpicato sui mille metri della parete granitica del Pizzo Badile, dove bisogna mettere in conto anche il calar delle tenebre, impiegando ben dieci ore.
Tra una scalata e un’escursione ha trovato anche il tempo per laurearsi in Scienze Politiche tre anni fa.
Ma è sulle montagne che riesce a dare il meglio di sé. Nel 2010 ha partecipato ad una spedizione sul Cho Oyu dell’Himalaya in Tibet. “Era l’occasione per raggiungere quota 8.201, ma purtroppo dovetti fermarmi sui settemila per un principio di congelamento ai piedi.
C’erano meno quattordici gradi in tenda e tanto ghiaccio. Riuscii a riscaldare un po’ d’acqua che avevo nel termos e dopo un paio di ore recuperai la funzionalità delle dita. Sono stato in Tibet circa quaranta giorni, una lunga trasferta che mi è costata diecimila euro. In pratica mi autofinanzio. L’importante è credere in quello che si fa, nei traguardi che si vogliono raggiungere”.
Gli ottomila metri sono ancora una meta da conquistare per Vito Partipilo. La marcia di avvicinamento verso l’ennesima sfida è già cominciata. “L’anno prossimo andrò in Nepal, ma per il momento non ho ancora deciso quale montagna scalare. L’Himalaya è un’esperienza entusiasmante che tuttavia richiede una grande capacità di adattamento a disagi fisici e difficoltà ambientali. Spero, in virtù dei costi elevati, che alcuni sponsor credano nella mia iniziativa e contribuiscano a sostenere le spese per organizzare la spedizione”.
Il cuore oltre l’ostacolo, lo sguardo verso il cielo. Vito Partipilo sa bene che la sua è un’avventura da vivere intensamente. “L’alpinismo richiede sacrificio, impegno, allenamento. Quando arrivo in cima mi guardo intorno e scopro l’immensità della natura. E’ un groviglio di sensazioni, in cui si mescolano la soddisfazione di raggiungere la vetta alla felicità interiore di condividere l’impresa con i compagni e non solo. C’è uno spirito di amicizia che nasce spontaneo, tra noi uomini che sfidiamo la montagna; come quella volta sulla sommità del Cervino quando incrociai tre tedeschi fra strette di mano e lacrime di commozione”.
Nicola Lavacca