02/11/2012
Un banchetto di fan di Obama.
Con i venti di “Sandy” appena placatisi, ricominciano a soffiare quelli della poilitica – che a cinque giorni dal voto ritorna piu’ che mai urlata e aggressiva. E per attaccare Obama Romney utilizza anche l’Italia. “The show must go on”, lo spettacolo deve continuare. Anche con la costa del New Jersey ancora allagata, intere zone di New York ancora senza luce e senza benzina e i funerali dei 92 americani uccisi da Sandy ancora in gran parte da celebrare.
Dopo aver frenato - a fatica - i colpi per un paio di giorni, i due candidati alla Casa Bianca tornano come niente fosse (o quasi) a zigzagare l’enorme nazione che da mercoledì prossimo sperano entrambi di guidare e ad attaccarsi (come da consuetudine a questo punto della corsa) alla giugulare. Dopo aver cancellato un paio di eventi e averne “vestiti” altrettanti da raccolte fondi e generi di prima necessità per le vittime dell’uragano - che coi suoi 50 miliardi di danni stimati finora si avvia a diventare il più costoso della storia americana dopo Katrina - il repubblicano Mitt Romney torna alle abitudini di sempre tra cui quella di spaventare gli americani con scenari economici apocalittici in caso di Obama-bis.
E a cinque giorni dal voto tra gli spaventapasseri finanziari, mette anche l’Europa poco considerata finora da entrambi i candidati, affiancando alla Grecia già chiamata in causa in passato come sinonimo di crisi nazionale – in maniera del tutto inedita - l’Italia. Intendiamoci non è una gaffe, e nemmeno, in un certo senso – purtroppo - un insulto. Lui dice quello che pensa (o meglio quel che vogliono sentire i suoi potenziali elettori). E se tra le grandi nazioni Europee, invece di Francia, Inghilterra o Germania ha scelto proprio noi qualche motivo deve pur esserci e invece di piccarci magari dovremmo concentrarci sul far sì che il prossimo candidato in vena di facili qualunquismi elettorali scelga qualcun altro … (ma questa è un'altra storia).
Meno legittima è l’insinuazione contenuta in uno dei tanti spot “spazzatura” (per la verità comuni ad entrambi i candidati) che con l’aiuto federale all’industria dell’auto all’inizio della sua presidenza “Obama ha venduto la Chrysler agli italiani e [che] questi a loro volta come ringraziamento andranno a costruire le Jeep in Cina”. Tutto falso, chiaramente e subito smentito da un altro che di affondi se ne intende (anche se per ora limitati alle città) l’amministratore delegato Sergio Marchionne – smentita citata integralmente da un altro spot prodotto in risposta dalla campagna del presidente.
Gli operai disoccupati che ieri nel freddo polare dell’aeroporto di GreenBay in Wisconsinhanno ascoltato Obama in bomber da aviatore, appena sceso dall’Air Force One, non sanno di certo dei 19 licenziamenti-rappresaglia che stanno incrinando i rapporti governo-FIAT. Forse non lo sa neanche Obama, e se anche lo sapesse sicuramente non lo va a raccontare in quella "Rust Belt" ( la cintura della ruggine) ovvero quegli stati attorno ai grandi laghi ( Wisconsin appunto, ma anche Michigan Indiana e Ohio) pieni di reliquie “arrugginite”, appunto, di un tempo in cui l’industria dell’auto di Detroit e il suo gigantesco indotto dava da mangiare a tutti e di elettori “indecisi che qui più che altrove per il gioco matematico dei voti elettorali calcolati stato per stato faranno la differenza martedì prossimo.
E a martedì prossimo ormai guardano tutti anche quando in apparenza sembrano preoccuparsi del pantano lasciato dalla “tempesta mostruosa” (così l’hanno ribattezzata spettacolarizzandola come al solito i media). Obama comunque – per i due giorni in cui se ne è occupato – sembra aver dimostrato di saper gestire l’emergenza, anche e soprattutto da un punto di vista mediatico. Prontamente sono circolate foto di Obama in maniche di camicia nella “war room” la sala operativa della Casa Bianca intento a coordinare gli interventi, e subito dopo le immagini del sopralluogo sulla spiaggia (completamente cancellata dalla marea anomala) del New Jersey con il governatore Repubblicano Chris Christie che dopo averlo criticato pesantemente dal palco della convention adesso bisognoso di fondi federali straordinari lo loda pubblicamente per la prontezza e l’efficacia della reazione di Washington al disastro.
Una bella immagine certo, di un’America che quando serve trascende le divisioni politiche e gioca di squadra, ancora più bella per Obama perché’ risponde senza bisogno di ulteriori commenti all’antistatalismo degli avversari. E come se dicesse: “Piove? Governo ladro. Diluvia? Governo indispensabile”. Di fatto il presidente in carica sembra aver recuperato terreno ritrovando nelle ultime rilevazioni demoscopiche il leggero vantaggio che aveva sempre avuto specie tra le donne e i residenti delle grandi città. Tuttavia lo scarto è talmente minimo da non permettergli di non attaccare a sua volta personalmente l’avversario. Fors’anche irritato dal fatto che adesso è Romney a parlare di cambiamento ( la parola chiave insieme a “speranza” della sua campagna del 2008) tuona: “se non l’aveste ancora capito quello è un venditore bello e buono: altro che Hope and Change!” E quando nel sentire il nome di Romney la folla dei comizi, comincia a rumoreggiare lui sfodera l’ultimo tormentone elettorale : “Don’t booh: vote!”, “Andate a votare, invece di fare buuu!” E giu’ boati e gridolini: il ‘suo’ popolo – più coreografico e variegato di quello di Romney ma non necessariamente più numeroso - ancora lo tratta da rockstar (basta andare a un suo evento per percepirel’elettricità che genera) passando più tempo a cercare di toccarlo e a fotografarlo da vicino che ad ascoltarne programmi e proposte.
E lui dal canto suo di Rockstar si circonda, da James Taylor a Bruce Springsteen al rapper Jay Z scenderanno tutti in campo da oggi a martedì prossimo in favore dell’Obama-bis. Lo spettacolo, insomma, continua anche se tre milioni e mezzo non se lo possono nemmeno vedere in TV perché’ ancora e chissà per quanto tempo senza corrente. Altri perché’ nel cuore della futuristica Manhattan sono impegnati a fare file interminabili, con tutti nervosismi del caso, con scene che qui non si vedevano dalla crisi energetica del 1973, per una tanica di benzina. Ma la posta in gioco è troppo alta per fermarsi adesso, e in fondo agli americani piace così. Dopo tutto questo ostinarsi a tornare a vivere normalmente il più presto possibile li ha sempre trascinati fuori dai momenti duri di cui è costellata loro storia, 11 settembre compreso. Emblematica, l’intervista del governatore Andrew Cuomo che stivali di gomma ai piedi dai cantieri di Ground zero allagati ha detto in diretta TV: “Che volete che sia: New York è fragile ma anche robusta: adesso asciughiamo tutto, e appena ritorna la luce ricominciamo a costruire.”
Stefano Salimbeni