05/09/2012
Barack Obama con le figlie Sasha e Malia (foto del servizio: Reuters).
Poco tempo fa, la Conferenza episcopale degli Usa ha pubblicato un duro documento, intitolato “Our first, most cherished liberty” (La prima e più cara delle libertà), firmato da monsignor William E. Lori,
arcivescovo di Baltimora e presidente del Comitato per la Libertà
Religiosa, in cui i cattolici e gli americani venivano invitati a “stare
in guardia, perché la libertà religiosa è sotto attacco, sia in patria
sia all’estero”.
Come esempi di questo attacco, i vescovi americani citavano
la politica nei confronti di contraccezione e aborto
dell’amministrazione Obama, e le disposizioni affinché anche università e
ospedali cattolici forniscano servizi per il controllo delle nascite ai
loro dipendenti; le leggi approvate in molti Stati contro gli
immigrati irregolari, leggi tese a impedire azioni che la Conferenza
episcopale definiva di semplice “christian charity and pastoral care”
(carità cristiana e cura pastorale); i provvedimenti presi a Boston,
San Francisco, nel District of Columbia e nello Stato dell’Illinois
contro organizzazioni cattoliche che provvedevano ai servizi d’adozione
perché le dette organizzazioni rifiutavano di procurare figli adottivi a
coppie omosessuali; i contratti con il Servizio migranti e rifugiati
della conferenza episcopale per il servizio alle vittime di traffico di
esseri umani, cancellati dal Governo federale perché detto servizio
rifiutava di provvedere o propagandare mezzi di contraccezione o
interruzione della gravidanza; e altri esempi ancora.
Un documento dettagliato e polemico che, criticando
ripetutamente provvedimenti presi dal Governo federale sulla scorta di
quello che veniva considerato un pregiudizio religioso,
rischiava di essere interpretato (e di certo in parte lo era) come un
attacco a Barack Obama (pur mai citato nel testo) nel delicatissimo
periodo che precede il voto per la presidenza. Il Pew Research Centre,
prestigioso istituto di ricerca di Washington, ha provato a misurare il
“gradimento” della Conferenza episcopale e di Obama proprio in base
all’idea che la libertà di religione sia sotto attacco negli Usa.
Il 64% dei cattolici americani ha risposto di essere a
conoscenza del documento dei vescovi e il 56% di condividere la loro
preoccupazione. Tra tutti gli americani, cattolici e non, le percentuali
calano: il 59% si dice al corrente della protesta dei vescovi ma solo
il 41% condivide la loro preoccupazione (mentre il 47% non è
d’accordo con loro). Da notare, peraltro, che il 70% dei cattolici si
dichiara “soddisfatto” o “molto soddisfatto” della leadership esercitata dai vescovi: un dato alto in assoluto, e molto migliore di quello (51%) raccolto dallo stesso Pew Research Centre dieci anni fa, nel 2002, all’apice dello scandalo pedofilia.
Avrà un riflesso sul voto per le presidenziali, tutto questo?
Difficile dirlo, almeno prendendo in esame la porzione di elettori che
si dichiarano cattolici. Alla domanda “Quale dei due candidati
riflette meglio le vostre idee sui problemi sociali, incluse questioni
come aborto, diritti dei gay…”, il 51% dei cattolici ha risposto Obama,
il 36% Romney e il 14% né l’uno né l’altro.
Il vantaggio di Obama si
allarga (54% contro 31%) tra i cattolici che frequentano la chiesa meno
di una volta la settimana (o anche più sporadicamente), ma le parti si rovesciano tra i fedeli che
frequentano la chiesa con regolarità o magari più volte la settimana:
tra loro Romney guida con il 53% contro uno scarso 37% pro-Obama.
Fulvio Scaglione