11/02/2012
Il candidato alle primarie dei repubblicani Rick Santorum (foto Ansa).
Sferrando un uno-due ai
fianchi (in Minnesota e Missouri) e un diretto in pieno volto (in
Colorado) al "peso massimo" Mitt Romney, Rick Santorum riapre a
sorpresa il match per la nomination repubblicana.
Che Santorum vincesse nei
primi due Stati del Midwest (la zona delle grandi pianure centrali)
se lo aspettavano un po' tutti. D'altronde aveva già vinto in
Iowa, nella fascia di Stati pianeggianti e rurali dove tra
silos e sterminati campi di mais abbondano tra i conservatori sia i
cosiddetti evangelici, cristiani fondamentalisti sensibili ai temi
etici e sociali cari all'ex senatore cattolico della Pennsylvania,
sia agricoltori e operai dal reddito medio basso sospettosi di un imprenditore miliardario la cui unica esperienza
politica è stata governare per quattro anni il Massachusetts.
Ma specie dopo
l’affermazione di Romney in Nevada – lo Stato più
in crisi di tutti con il triste record di disoccupazione, fallimenti
e case pignorate - dove si era accaparrato la metà esatta dei
suffragi, nessuno si aspettava i margini abissali di mercoledì 8 febbraio: dopo
tutto in Iowa Santorum aveva vinto di una
trentina di voti, mentre nei due Stati confinanti ha letteralmente
umiliato il grande favorito in Missouri e in Minnesota dove 30 (voto
più, voto meno) sono diventati addirittura i punti percentuali di
scarto.
E ci si aspettava ancora meno
di sentire, dopo ore di testa a testa all'una di notte, Ryan Call,
il segretario statale del partito repubblicano del Colorado,
annunciare che Santorum l’aveva spuntata anche
lì, e nemmeno tanto di misura (40%-35%). E pensare che alle
primarie di quattro anni fa, in Colorado Romney aveva stravinto per
lo stesso motivo per cui ha perso ieri sera: ovvero perché l'allora
favorito John McCain era considerato troppo di centro dalla base
conservatrice e lui, Romney, la vera alternativa di destra.
Adesso tutti gli analisti
parlano di "terremoto" politico in casa repubblicana, ma, nella
pratica potrebbe solo trattarsi di una scossa di assestamento. Tanto
per cominciare, numericamente cambia poco o nulla: le tre elezioni di mercoledì, infatti, erano in realtà due caucus (Minnesota e Colorado)
dove i 76 delegati totali erano assegnati in modo proporzionale e
una primaria in un certo senso "fasulla" visto che lo Stato del
Missouri adotta da quest’anno una strana alchimia elettorale per
cui i delegati veri e propri verranno assegnati in un caucus
aggiuntivo in programma il 17 marzo prossimo. Non a caso l’elezione in Missouri, che ha registrato un'affluenza dimezzata
rispetto a quattro anni fa, si è guadagnata il
nomignolo universalmente condiviso di "concorso di bellezza".
Tuttavia la corona di "reginetta" del Missouri, Stato chiave di solito a Novembre,
impreziosisce le vittorie negli altri due e di certo non nuoce alle
raccolte fondi di Rick Santorum.
I candidati repubblicani Mitt Romney (a sinistra) e Rick Santorum (foto Ansa).
Ora la corsa si fa impegnativa
anche geograficamente: fra tre settimane si vota in Michigan e in
Arizona (rispettivamente ai confini col Canada e col Messico), poi nello Stato di Washington (nell’estremo
Nordovest) e tre giorni dopo ancora contemporaneamente in dieci
Stati spalmati sull'intera mappa di questo immenso Paese-continente.
Con i suoi 57 milioni raccolti nel 2011 Romney è in una botte di ferro, in grado di
far sentire la sua presenza a suon di spot televisivi in tutti gli Stati interessati.
In realtà il vero
vincitore di mercoledì sera è il presidente in carica, Barack Obama
che, preoccupato da un'ascesa troppo rapida di Romney e della sua
potente macchina da soldi elettorale, proprio ieri aveva annunciato
di voler accettare i contributi dei cosiddetti "Super PAC", i
comitati non profit con il diritto di finanziare i candidati in modo illimitato e senza
controllo alcuno.
Per Obama e i suoi
strateghi, che nel "ring" in realtà non sono ancora entrati,
il knock down di Romney è il miglior risultato possibile: ovvero
una corsa che si riapre, con i repubblicani che continuano a
suonarsele tra loro spendendo soldi, energie e soprattutto – nello
sbilanciarsi a destra per conquistare la base - credibilità
politica presso l'elettorato di centro, vero arbitro del match
finale, quello in programma martedì 6 novembre prossimo, valevole
per la Casa Bianca.
Stefano Salimbeni