04/04/2012
I rivali repubblicani Rick Santorum e Mitt Romney durante un dibattito televisivo (Reuters)
“La campagna elettorale tra Obama e Romney è già cominciata, a prescindere da cosa pensa Santorum”. Cosi’ Gloria Bergeron, storica analista politica della CNN, ha riassunto alla perfezione una giornata politica vagamente surreale.
Era cominciata con il Presidente in carica, che per un ora, davanti a una platea di editori, redattori e giornalisti, demolisce punto per punto, cifre alla mano, la legge di bilancio proposta dai parlamentari Repubblicani e di conseguenza la politica economica liberista da cui proviene, – legge, ricorda sarcastico , definita addirittura “meravigliosa” da Mitt Romney.
Ed è finita con lo stesso Romney che dopo una vittoria, comoda, per non dire schiacciante alle primarie in Maryland, Wisconsin e nella Capitale, Washington – dedica gran parte del discorso di ringraziamento a rispondergli per le rime accusandolo senza mezzi termini di uccidere con il suo statalismo il sogno e i sognatori americani.
E tra Obama, l’ex attivista autore del libro “l’audacia della speranza”, che fa i conti in diretta, e Romney, l’ex finanziere con 21 milioni di dollari di reddito dichiarato, che invece parla di sogni, arriva Rick Santorum che dopo due sconfitte abbastanza umilianti (in Maryland con 20 punti di scarto, ma soprattutto in Wisconsin dove fino a pochi giorni fa era avanti nei sondaggi) parla di “inizio del secondo tempo” paragonando la sua campagna elettorale a quella di Ronald Reagan del 1976, il quale dopo aver perso tutte le primarie fino a maggio arrivò, alla Convention, quasi a strappare la nomination all’allora presidente in carica Gerald Ford. Poi aggiunge che se, in quell’occasione, sia Reagan che Ford persero rispettivamente nomination e presidenza fu colpa del partito, che alla fine scelse, tra i due, il più moderato – invitando l’establishment Repubblicano, che ormai fa sempre più quadrato intorno al rivale Romney, a non ripetere, quest’anno, lo stesso errore.
Purtroppo per Santorum, però, il secondo tempo di queste "primarie infinte" (come ormai le chiamano in tanti) inizia con uno svantaggio praticamente insormontabile: 264 delegati contro 648, con 1144 necessari per la nomination. Come se, delegato più delegato meno, in un partita al meglio degli 11 punti, la ripresa cominciasse sul 6 a 2, e comunque, come ricordano i commentatori più attenti, solo per pareggiare, l’ex senatore della Pennsylvania dovrebbe vincere gran parte dei 19 Stati rimasti con almeno il 70% in media dei suffragi.
Di fatto, l’unico a dare l’impressione di non aver ancora fatto i conti è proprio il diretto interessato, Rick Santorum.
Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, alla Casa Bianca (Ansa).
Obama e Romney, al contrario, lo ignorano già. Lo hanno dimostrato
attaccandosi direttamente, senza mezzi termini, sulle rispettive ricette
per la crescita in un dibattito – a distanza ma non troppo – vecchio
come la democrazia stessa e oggi, nell’America in crisi, più attuale
che mai. Le fiorettate di ieri non sono che il preludio di un lungo
scontro frontale, ideologico perfino, tra le due concezioni
dell’economia – e in fondo della societa’ - che contraddistinguono i due
grandi partiti americani. Da una parte i Repubblicani, fautori del
“trickle down” ovvero lo “sgocciolamento” (questa la traduzione
letterale) dall’alto verso il basso della ricchezza ottenuto svincolando
il più possibile la libera impresa da vincoli legali e fiscali;
dall’altra i Democratici, convinti al contrario che dai programmi
pubblici di assistenza e dal controllo statale degli eccessi dei privati
scaturisca un benessere diffuso che irradia dalla classe media a tutte
le altre.
Di queste due scuole di pensiero si è parlato ieri e si continuerà a
parlare sino a novembre. E adesso si comincia anche a capire
chiaramente chi ne saranno i portavoce: e cioè l'attuale presidente degli Stati Uniti Barack Obama per i Democratici e il mormone Mitt Romney per i Repubblicani.
“A prescindere”, per citare ancora la Bergeron, “da ciò che pensa, o
dice, aggiungiamo noi, Rick Santorum”.
Certo, nel 1980, ovvero quattro anni dopo quel (quasi) recupero ai tempi
supplementari, Ronald Reagan vinse la corsa alla Casa Bianca contro
Jimmy Carter. “Che Santorum stia gia’ pensando al 2016?”, si chiedono un
po' sarcastici gli esperti della CNN. Per ora di sicuro pensa al 24
aprile prossimo quando, in Pennsylvania “giocherà in casa” contro
Romney. Non a caso il discorso sul “secondo tempo” lo ha tenuto lì,
nello Stato che lo elesse al Senato nel 1994, e che fra tre settimane
non può assolutamente permettersi di perdere, pena i tre fischi
dell’arbitro e il rientro anticipato negli spogliatoi.
Stefano Salimbeni