12/02/2012
C'è un olio d'oliva che costruisce pace, sviluppo, equità. Il suo, è un sapore particolare. Accade in terre tribolate di due Continenti, l'Africa e l'Asia, alle prese con clamorse fughe in avanti e ampie sacche di arretratezza economico-sociale. L'Etiopia, ad esempio. E' una terra tutta da scoprire e chissà che l'olivicoltura non
possa essere un'opportunità per lo sviluppo e la promozione delle pari
opportunità.
Un progetto pilota elaborato da una Ong olandese ha portato a piantare, in Etiopia, varietà italiane di olivo in una zona montuosa, a circa 3 mila metri di
altitudine. Le piante hanno fruttificato, anche se purtroppo i frutti sono
andati persi a causa di un'eruzione vulcanica. Al momento sono 7.200 gli olivi impiantati, tutti importati dall'Italia. Ma
è in programma, per l'anno prossimo, l'impianto di altri 15 mila alberi.
Viene impiegato per ora un “frantoio mobile”, che si sposta da un
olivicoltore all'altro, venendo incontro alle esigenze di una popolazione
che non può permettersi investimenti in macchinari costosi. Nell'intero progetto sono stati coinvolti circa 5 mila agricoltori.
Gli
uliveti in Etiopia contribuiscono sia a combattere l'erosione del
territorio, che a generare reddito per i coltivatori e per le donne, vera
spina dorsale dell'economia etiopica, che possono essere impiegate nella
raccolta.
Diventare, nel futuro, un paese produttore significherebbe, per l'Etiopia,
raggiungere le produzioni minime per l'autoconsumo e aprire un nuovo
segmento di mercato: i consumatori locali e le catene di alberghi e
ristoranti per i turisti.
Spremitura delle olive in Medio Oriente. Foto Reuters.
Anche in Pakistan il Ministero dell'Agricoltura, che opera attraverso il Pakistan Oilseed Development Board, si è fatto carico di convertire olivi selvatici in varietà produttive.Questo approccio, che riguarda piccole realtà in aree remote del paese, punta a generare opportunità di lavoro ma anche al miglioramento dell'alimentazione della popolazione, mediante la produzione di un olio di elevato valore nutrizionale. Nel 2007 il Pakistan Oilseed Development Board ha avviato, insieme all'italiano Istituto Agronomico per l'Oltremare, un progetto che ha, tra le attività principali, quella di localizzare le aree vocate all'olivicoltura oltre che organizzare corsi di formazione, impiantare campi sperimentali e collezioni varietali per ottenere materiale certificato proveniente da oliveti selezionati per la riproduzione. L'interesse per la coltura dell'olivo riscuote consenso in Pakistan da parte dei piccoli produttori attratti dalla vendita del prodotto finale, apprezzato come prodotto da cucina, medicinale e cosmetico.
L'Afghanistan, nella zona lungo il confine con il Pakistan, ha un clima mite, a tratti quasi mediterraneo. In particolare nella provincia di Nangarhar è presente l'olivo e fino a una ventina di anni fa si produceva l'olio, prima che gli anni bui della guerra civile portassero distruzione e abbandono anche in questo settore. L'olivicoltura, nata negli anni Cinquanta del secolo scorso, importando piante da Egitto, Turchia e Azerbaigian, è decollata nel 1979, ma la produzione si è ridotta praticamente a zero per via della guerra. Solo oggi l'olivicoltura sta riprendendo a dare i suoi frutti e l'olio extravergine a essere prodotto anche con il contributo della tecnologia italiana nel campo dell'estrazione.
Oggi la superficie a olivi in produzione si estende per 1.740 ettari, circa il 12% dell'area potenzialmente produttiva, ed è totalmente destinata alla trasformazione dei frutti in olio. Al momento in Afghanistan esiste un'unica fabbrica per l'estrazione dell'olio che si avvale di moderni macchinari italiani. Le aspettative per il futuro sono che il governo del paese o le organizzazioni internazionali sostengano progetti di sviluppo come quello della provincia di Nangarhar perché l'olivicoltura afghana riprenda a prosperare e possa costituire una concreta opportunità di crescita.
Gabriele Salari