Amnesty: armi, chi controlla?

Sotto accusa la vendita di materiale bellico a Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen, dal 2005 in qua, da parte di numerosi Stati, Usa e Russia in testa. L'Italia inclusa.

20/10/2011
Libia, settembre 2011. Combattimenti presso  Bani Walid, Foto:  Mohamed Messara/Epa/Ansa.
Libia, settembre 2011. Combattimenti presso Bani Walid, Foto: Mohamed Messara/Epa/Ansa.

Fare (lucrosi) affari con le armi: un vecchio vizio degli Stati. Tanto più deprecabile quanto più  condito dall'ipocrisia di chi ai Tg ripete di essere contro i dittatori e al fianco della gente oppressa, salvo vender loro quanto occorre per reprimere e combattere. Amnesty international strappa la maschera. E denuncia: Stati Uniti d'America, Russia ed altri Paesi, europei e no, hanno fornito grandi quantità di materiale bellico  a Governi dittatoriali del Medio Oriente e dell’Africa del Nord prima delle rivolte del 2011, pur avendo le prove del rischio che quelle forniture avrebbero potuto essere usate per compiere gravi violazioni dei diritti umani. 

Il rapporto intitolato "Trasferimenti di armi in Medio Oriente e Africa del Nord: le lezioni per un efficace Trattato sul commercio di armi" esamina le esportazioni verso Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen a partire dal 2005. I principali fornitori, secondo Amnesty international, sono, in rigoroso ordine alfabetico, Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia e Stati Uniti d’America.

L'inchiesta è molto dettagliata. Il rapporto menziona 11 Paesi (tra cui Bulgaria, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti d’America, Turchia e Ucraina) che hanno fornito assistenza militare o autorizzato esportazioni di armi, munizioni e relativo equipaggiamento allo Yemen, dove nel corso del 2011 hanno perso la vita circa 200 manifestanti. «Nonostante la continua, brutale repressione, la comunità internazionale non ha voluto intraprendere un’azione incisiva per interrompere i trasferimenti di armi allo Yemen», si legge in un comunicato di Amnesty.

Ottenere informazioni sull’afflusso di armi in Siria è difficile, poichè pochi Governi pubblicano dati sui trasferimenti al regime di Damasco. Tuttavia, osserva Amnesty, è noto che il principale fornitore è la Russia, nazione che destina alla Siria circa il 10 per cento di tutte le sue esportazioni. Poichè Mosca non pubblica un rapporto annuale sulle sue esportazioni di armi, il suo contributo ai trasferimenti di armi nella regione non può essere correttamente quantificato. Il rapporto di Amnesty international indica inoltre che l’India ha autorizzato la fornitura di veicoli blindati alla Siria mentre la Francia, tra il 2005 e il 2009, le ha venduto munizioni.



Amnesty international ha identificato 10 stati (tra cui Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Spagna) i cui governi hanno autorizzato la fornitura di armamenti, munizioni e relativo equipaggiamento al regime libico del colonnello Gheddafi
a partire dal 2005. Durante il conflitto della Libia, le forze di Gheddafi hanno commesso crimini di guerra e violazioni dei diritti umani che possono costituire crimini contro l’umanità. Munizioni a grappolo e proiettili da mortaio MAT-120 di provenienza spagnola, autorizzati per la vendita nel 2007, sono stati rinvenuti da Amnesty international a Misurata, quando la citta’ è stata bombardata dalle forze di Gheddafi nel corso dell’anno. Si tratta di forniture proibite dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo, che la Spagna ha firmato meno di un anno dopo aver inviato tali materiali in Libia.

Buona parte dell’artiglieria pesante rinvenuta in Libia dai ricercatori di Amnesty international pare essere stata prodotta durante l’era sovietica, dalla Russia o da altri paesi dell’Urss, soprattutto per quanto riguarda i razzi Grad, armi di per se’ indiscriminate che sono state usate ampiamente da entrambe le parti in conflitto. Alcune delle munizioni recuperate erano anche di fabbricazione cinese, bulgara e italiana come, rispettivamente, le mine anticarro Tipo 72, componenti per razzi e i proiettili d’artiglieria da 155 millimetri.

Almeno 20 stati hanno venduto o fornito all’Egitto armi leggere, munizioni, gas lacrimogeni, prodotti antisommossa e altro equipaggiamento: in testa gli Stati Uniti d’America, con forniture per un miliardo e 300 milioni di dollari all’anno, seguiti da Austria, Belgio, Bulgaria, Italia e Svizzera.  I fucili sono stati usati massicciamente dalle forze di sicurezza in Bahrein ed Egitto con devastanti effetti letali. Amnesty international riconosce che quest’anno la comunita’ internazionale ha fatto alcuni passi avanti, limitando i trasferimenti internazionali di armi a Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen.

 I ribelli in perlustrazione sulla strada nel deserto tra Misurata e Bani Walid presa di mira , prima della loro ritirata, dalle milizie di Gheddafi. Foto: Ciro Fusco/Ansa.
I ribelli in perlustrazione sulla strada nel deserto tra Misurata e Bani Walid presa di mira , prima della loro ritirata, dalle milizie di Gheddafi. Foto: Ciro Fusco/Ansa.


Tuttavia, secondo l’organizzazione per i diritti umani, sono gli attuali controlli sulle armi a non aver impedito i trasferimenti negli anni scorsi. «Gli embarghi sulle armi sono di solito un provvedimento della serie "troppo poco, troppo tardi" quando la crisi dei diritti umani è in corso», ha commentato Helen Hughes, principale ricercatrice del rapporto di Amnesty international.  «Ciò di cui il mondo ha bisogno è che si valuti rigorosamente, e caso per caso, ogni proposta di trasferimento di armi in modo tale che, se c’è il rischio sostanziale che queste potranno essere usate per compiere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani, il governo dovrà far scattare il rosso al semaforo».

«Questa "regola aurea" preventiva è già contenuta nella bozza di Trattato sul commercio delle armi, i cui negoziati riprenderanno all’Onu nel febbraio 2012. Se i principali esportatori di armi non adotteranno questa norma di comportamento e continueranno sconsideratamente a portare avanti "gli affari come al solito", alimentando crisi dei diritti umani come quelle di quest’anno in Medio Oriente e Africa del Nord, distruggeranno vite senza motivo e minacceranno la sicurezza globale», ha aggiunto Hughes.

Libia, settembre 2011. Truppe ribelli nell'area di Dufan, nel deserto, incalzano le milizie di Gheddafi. Foto:  Ciro Fusco/Ansa.
Libia, settembre 2011. Truppe ribelli nell'area di Dufan, nel deserto, incalzano le milizie di Gheddafi. Foto: Ciro Fusco/Ansa.

«Le conclusioni del nostro rapporto, mettono in evidenza il profondo fallimento degli attuali controlli sulle esportazioni di armi, evidenziando tutte le scappatoie esistenti, e sottolineano quanto occorra un efficace Trattato sul commercio di armi che tenga in piena considerazione la necessità di difendere i diritti umani», ha precisato Helen Hughes. «I Governi che ora affermano di stare dalla parte della gente in Medio Oriente e Africa del Nord sono gli stessi che fino a poco tempo fa hanno fornito armi, proiettili ed equipaggiamento militare e di polizia usati per uccidere, ferire e imprigionare arbitrariamente migliaia di manifestanti pacifici in paesi come la Tunisia e l’Egitto e tuttora utilizzati dalle forze di sicurezza in Siria e Yemen».

Alberto Chiara
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