14/01/2013
Immaginate un blitz anticamorra in
uno scantinato del salernitano, un magistrato illuminato capace di andare oltre
la rigida applicazione delle regole che si assume in prima persona, di fronte
ai cittadini (ma anche alla criminalità organizzata), la responsabilità di un atto
tutt'altro che dovuto, la tenacia di un direttore sanitario che ha il coraggio
di esporsi nell'interesse della collettività e un popolo in esilio che lotta
per una terra e un'autorità che non ha più: sembrano gli ingredienti di una fiction
televisiva di quelle tanto di moda in questo periodo e invece è una storia di (stra)ordinario
buon senso.
«Non è raro che in locali come box auto o semplici containers - racconta
Antonella Molese, direttore sanitario regionale della Croce Rossa in
Campania - dove le Forze dell'ordine cercano armi o droga, si trovino
"altre cose". Le organizzazioni criminali traggono infatti ingenti
profitti da innumerevoli mercati paralleli di cui fanno parte, a pieno titolo,
medicinali di vario genere e sostanze dopanti». Nel caso specifico, il
materiale sequestrato riempiva un intero garage: «Il magistrato titolare dell'indagine -
prosegue Molese - dimostrando di essere persona dotata di grande sensibilità,
non ha ritenuto di doverne disporre la distruzione come prevede la prassi. E ha
deciso di mettersi in contatto con me per capire se i farmaci veterinari
sequestrati potessero in qualche modo tornare utili alla Croce Rossa».
Una
premessa è doverosa: tale iniziativa comporta una duplice assunzione di
responsabilità tutt'altro che scontata. Da una parte il magistrato che ha "scavalcato"
la severissima procedura di tracciabilità dei farmaci affidandoli con un atto
ad hoc alla Croce Rossa; dall'altro, la dottoressa Molese che, accettandoli, si
è impegnata a somministrarli previa verifica della loro integrità ed efficacia.
È così che l'altra faccia di Gomorra ha riacceso la speranza del
popolo Sahrawi.
Ma al mosaico manca un tassello
che viene completato dalla dottoressa Sara Di Lello, protagonista in prima
persona di una missione umanitaria per conto dell'associazione Africa '70, ongimpegnata in progetti di cooperazione e sviluppo nel Sud del mondo: insieme con
tre giovani veterinari italiani, e grazie al contributo di partner indispensabili quali SIVtro-VSF Italia (Veterinari senza frontiere) e Comune di Milano, è partita nell'ambito di un campo di lavoro per
l'autoproduzione di alimenti nelle tendopoli del popolo Sahrawi per consegnare
i farmaci sequestrati.
Senza alcun riconoscimento da parte dell'Onu, nel Sahara
occidentale, c'è un popolo che si è organizzato sotto il nome di Repubblica
araba Saharawi democratica (Rasd) il cui governo vive esiliato nelle
tende intorno a Tindouf in territorio algerino ma su cui reclama la propria
sovranità il Marocco. Quasi dal nulla, all'improvviso, in questa terra arida e
sabbiosa, si erge un muro: oltre, c'è l'area liberata dal Fronte Polisario,
dove resiste un'esigua minoranza di Saharawi, discendenti delle locali tribù
berbere dei Sanhadja. Qui, l'ostilità delle condizioni climatiche rende
impossibile avviare la benché minima attività legata all'agricoltura fatta
eccezione per le palme da dattero che crescono intorno alla rare oasi: rimane la
pastorizia, quella nomade, con cammelli, capre e pecore. Chi non ce la fa,
punta verso il mare dove la pesca rappresenta ancora una risorsa pericolosa ma
possibile.
Le Nazioni Unite da anni spingono, peraltro senza la dovuta
convinzione, per avviare un processo di pace che passa inevitabilmente da un
referendum di autodeterminazione per i Saharawi che intanto sono per lo più
raccolti in campi profughi strutturati in 4 province, suddivise a
loro volta in 26 comuni.
Africa'70
ha contribuito in modo determinante a rendere operativa una struttura
veterinaria che dal 2001 si occupa della salute del bestiame all'interno dei
campi profughi. Stiamo parlando di un'assistenza prestata a 60mila capi: ma non
solo, il lavoro dell'equipe si concretizza anche nell'ispezione della carne,
nella gestione dell'anagrafe canina con tutte le vaccinazioni del caso, nella
verifica dello stato di salute del bestiame importato.
Il tutto corredato da
attività di formazione per sensibilizzare ed educare gli allevatori sui temi
legati alla salute. L'efficacia della direzione di veterinaria risiede
nell'impegno dei circa 200 operatori, dai medici alle donne del quartiere
che non fanno mai mancare il loro apporto.
Alberto Picci