28/01/2013
Basta una buona idea per far nascere un'impresa. È la garanzia di Re-startup, progetto finanziato attraverso il Fondo europeo per i rifugiati 2008-2013 teso ad avviare quegli interventi indispensabili per promuovere l'iniziativa imprenditoriale, nel caso specifico titolari di protezione internazionale appartenenti alle categorie vulnerabili. Su tutti, le donne.
L'obiettivo, è accompagnare e sostenere quelli che si possono definire come percorsi di recupero della propria autonomia. Autonomia in ogni senso possibile: da un punto di vista economico e lavorativo, ovviamente, ma anche psicologico, per impiegare le risorse dei titolari di protezione internazionale così da aiutarli a superare i traumi di cui sono stati, a diverso titolo, vittime. Una centralità che inizia dal coinvolgimento diretto dei beneficiari nei processi decisionali relativi agli iter imprenditoriali che li attendono. In questo senso, Re-startup ha voluto privilegiare lo sviluppo di aziende cooperative nella convinzione che la trasmissione ai rifugiati dei valori cooperativi favorisca l'integrazione sociale in maniera più efficace rispetto al mero sostegno nella costituzione di un'impresa.
È un progetto ambizioso, che apre scenari interessanti, ma nello stesso complesso perché esperienze precedenti in questo senso sono state fatte e hanno messo in luce punti critici che non bisognerà sottovalutare: il successo di Re-startup passa inevitabilmente dalla capacità di prevedere fin da ora partnership con cooperative "adulte", stabilendo accordi di programma con gli enti pubblici locali Dopo una prima fase iniziata a settembre 2012 per indagare i gap di mercato e indirizzare i beneficiari, si è passati alla raccolta dei curricula e alla redazione dei bilanci di competenze dei destinatari. Grazie all'attivazione di un servizio educativo di baby sitting anche donne sole con minori a carico hanno potuto frequentare i corsi propedeutici. I "candidati" selezionati sono così diventati circa 245, il 25% dei quali sono donne.
Gennaio 2013 ha segnato l'inizio dei corsi di formazione all'imprenditoria cooperativa di durata differente a seconda delle necessità e del numero dei destinatari. Il passo immediatamente successivo sono percorsi di tutoraggio di tirocini formativi in azienda, al fine di instaurare rapporti che possano sfociare in future collaborazioni o rilevazioni di attività. Dopo un'attenta valutazione, si procede con l'accompagnamento per accedere a contributi pubblici complementari.
Tra marzo e giugno, il progetto entrerà nel vivo: verranno inizialmente selezionate 12 iniziative imprenditoriali sulla base di alcuni criteri imprescindibili nell'ottica del progetto come la sostenibilità economica, le componenti sociali, il rispetto dei principi mutualistici e di intergenerazionalità del patrimonio. Alla fine saranno 6 le start-up di aziende cooperative che saranno avviate entro la prossima estate.
I risultati attesi sono l'inserimento in percorsi propedeutici all'imprenditorialità di almeno 120 titolari di protezione internazionale vulnerabili e lo start-up/rilevazione di almeno tre iniziative imprenditoriali in forma associata.
Al di là di quello che è stato finora fissato sulla carta, Re-startup deve riuscire a creare un "modello" che sia replicabile così da offrire una reale possibilità ai giovani che magari riescono a ottenere dall'Italia il riconoscimento dello status di rifugiato ma sono poi costretti a costruirsi il loro presente e il loro futuro da soli.
Lavoro, infatti, non è soltanto sinonimo di reddito: averne uno, magari soddisfacente, contribuisce a radicare quel senso di appartenenza, di utilità sociale, che può trasformare i rifugiati in risorse per l'Italia.
Alberto Picci