29/05/2012
La differenza, come spesso accade in questo genere di
situazioni, la fa la capacità di "fare rete": intorno al Celav, ilCentro di mediazione al lavoro, hanno ruotato per il progetto "Divento
grande" tante realtà differenti, dai servizi sociali alla Fondazione Clerici,
da Formaper a Obiettivo lavoro, da soggetti del privato sociale alle aziende,
da Fondazione Sodalitas alla cooperativa sociale Il minotauro. Ma, soprattutto,
i veri protagonisti sono stati loro, gli adolescenti che provano nonostante
alcune difficoltà incontrate nei loro percorsi di vita e di formazione a
ridisegnare un futuro che altrimenti sembrerebbe già scritto. La chiamano
progettazione partecipata e altro non è che un tavolo comune nel quale ogni
attore mette a disposizione le proprie competenze per la realizzazione di un
obiettivo con ricadute sociali positive e sulla base di un modus operandi
possibilmente replicabile. L'iniziativa, come detto, è stata promossa già in
passato, seppur non modo continuativo per la difficoltà a reperire i fondi necessari,
dal Celav che ha assunto il ruolo che più gli è proprio e cioè quello di
connettore delle diverse anime che hanno contribuito all'idea di dare ad alcuni
ragazzi di buona volontà una seconda chance.
I numeri del progetto nell'ultimo hanno parlano chiaro: 28
ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni a rischio emarginazione hanno
potuto formarsi attraverso 200 ore di formazione in aula e testare sul campo le
competenze acquisite grazie a stage professionalizzanti della durata
complessiva di 600 ore. Il tutto, senza mai essere lasciati soli: accompagnati
passo per passo fin dalla fase di orientamento e sostenuti anche nei momenti
più delicati, quelli della "verifica" con se stessi del grado di
soddisfazione per il percorso intrapreso. Dei 28 che hanno cominciato questa
esperienza, 13 hanno potuto accedere a una borsa lavoro resa disponibile dal
Comune di Milano, 3 sono stati assunti e comunque in 22 hanno terminato il
percorso intrapreso: 3 i minori che hanno dovuto rientrare nel paese d'origine
per seguire le famiglia e 3 quelli che invece hanno manifestato scarsa
motivazione nei confronti dell'impegno assunto. Tra i punti di forza di
"Divento grande", la possibilità di personalizzazione del progetto professionale anche sperimentando il mondo del lavoro in contesti
diversi. Un investimento sul proprio futuro che i ragazzi hanno colto al volo
per non lasciar passare un altro treno dopo l'abbandono prematuro della scuola,
soprattutto nel caso degli italiani, e per ripagare i sacrifici di una famiglia
lontana migliaia di chilometri, per gli stranieri entrati nel nostro Paese con
lo status di "minori non accompagnati" e dunque affidati agli
assistenti sociali.
Sono 35 le imprese e organizzazioni coinvolte che hanno
offerto tale opportunità a questi giovani: ma lo stage è stato solo il momento
culminante, e probabilmente anche più atteso dai protagonisti diretti, di un
percorso più ampio è iniziato con una fase di orientamento nella quale non sono
mancante le difficoltà di far capire ai ragazzi l'importanza di frequentare le
lezioni e partecipare ai laboratori, peraltro strutturati in modo affatto
didascalico ma studiati appositamente per riscuotere l'interesse anche di
quelli più scottati da esperienze formative e scolastiche precedenti.
«Ho deciso di lavorare in un bar perché mi piaceva essere a contatto con la gente - ha detto Xavier, 18 anni, che attualmente gode di una borsa lavoro - Il primo giorno dietro il banco mi sentivo una persona in più. Le cose sono cambiate piano piano perché mi hanno spiegato come fare le cose, e dopo ci ho preso la mano. Prima non ero così: prima ero uno che non voleva fare niente. Sono soddisfatto di me perché non pensavo di arrivare a questo punt! E adesso si va avanti, non si può più tornare indietro!».
E ancora, la testimonianza di Francesco, 18 anni: «Nella cucina ho trovato la cosa che mi più mi interessa e che mi piace di più: infatti, ci dedico molto tempo. Il progetto "Divento grande" mi ha cambiato la vita: prima ero un ragazzo svogliato, non avevo voglia di fare niente...È stato bello!».
Alberto Picci