17/01/2013
Il lavoro come fattore identitario. Una verità valida per tutti, a maggior ragione per chi ha lasciato la propria terra in cerca di un futuro migliore per sé e la propria famiglia. Quando poi il migrante è costretto a lasciare il suo Paese per sfuggire a guerre e persecuzioni, e qualora riesca a ottenere lo status di rifugiato, ecco allora che la dimensione lavorativa non è solo indispensabile per la sopravvivenza, ma anche e soprattutto elemento fondante per la ricostruzione di un'identità. Può essere la microimprenditoria una valida strada di integrazione per i rifugiati? Se ne è discusso in una tavola rotonda tra Istituzioni, associazioni ed esperti a Roma, il 16 gennaio; si è parlato anche del Progetto Re-Lab, finanziato dal Fondo europeo per i rifugiati e promosso dall'International Training Centre of the ILO, insieme con Cir - Centro italiano per i rifugiati, Micro Progress Onlus, Associazione Microfinanza e Sviluppo e il Comune di Venezia: un progetto rivolto ai rifugiati, che ha come fine la costruzione di nuove imprese da parte dei migranti.
Nel quadro della crisi economica, i dati sono contraddittori. È proprio di questi giorni la notizia che molti immigrati in Italia stanno lasciando il nostro Paese in cerca di migliori opportunità lavorativa, o meglio di un'opportunità lavorativa. I dati sull'occupazione degli stranieri in Italia infatti mostrano evidenti segnali di peggioramento: tasso di occupazione sceso intorno al 60 per cento, con oltre il 42 per cento dei disoccupati stranieri in cerca di un lavoro da più di un anno. Oltretutto più di un terzo degli stranieri svolge un lavoro a basso tasso di specializzazione. Eppure, in netta controtendenza sia con l'andamento economico complessivo sia rispetto all'impenditoria italiana, la partecipazione degli stranieri ad attività economiche indipendenti è cresciuta anche nel 2012, registrando un tasso di crescita dell'8,3 per cento pari a 20 mila unità in più rispetto al 2010. Inoltre, secondo il Dossier statistico immigrazione 2012 realizzato da Caritas Migrantes, oltre il 57 per cento dei titolari di imprese in Italia sono stranieri.
La ricerca Le strade dell'integrazione, finanziata dal Fondo europeo per i rifugiati e realizzata da Cir - Centro italiano per i rifugiati, ha dimostrato che i dati sui cittadini stranieri in Italia sono validi anche per quei migranti che godono dello status di rifugiati e sono beneficiari di protezione sussidiaria: il 44,6 per cento degli intervistati è disoccupato, il 4 per cento non risponde e solo il 51,4 per cento degli intervistati ha risposto di avere un'occupazione. Particolarmente significativo è il dato "qualitativo": le occupazioni molto spesso non sono in linea con la pregressa esperienza lavorativa e il percorso di studi dei rifugiati. Tra i laureati che hanno risposto al questionario, molti sono braccianti agricoli, custodi, alcuni distribuiscono giornali e altri sono muratori; i pochi che riescono a svolgere una professione non manuale lavorano in modalità estremamente precarie, per esempio come interpreti e mediatori.
In questa ottica si inserisce il Progetto Re-Lab: Start Up Your Business, rivolto proprio ai titolari di protezione internazionale e volto a individuare e coinvolgere questo segmento di persone ricche di esperienze – non solo professionali – che finora non hanno incontrato una valida opportunità di lavoro e così favorirne le soluzioni occupazionali, dotandoli di nuovi strumenti, competenze e conoscenze per avviare un'attività imprenditoriale nel nostro Paese. E d'altra parte, in una congiuntura economica disastrosa, le imprese migranti continuano a registrare valori di crescita positivi: che possano proprio le imprese migranti rappresentare un fattore propulsivo per la ripresa economica italiana?
Per maggiori informazioni consultare il sito: www.ideatua.it
Francesco Rosati