I “desaparecidos“ del Mali

L'ultimo rapporto di Amnesty International denuncia la drammatica situazione del Paese africano per gli oppositori alla giunta militare

01/08/2012

Sparizioni forzate e torture: il Mali come l’Argentina degli anni bui del triumvirato Vileda, Massera, Agosti. Il paragone con la tragedia dei “desaparecidos” iniziata quasi quarant’anni fa e protrattasi per un decennio, al momento non “regge” nei numeri ma, nella sostanza, il clima di terrore che oggi si respira nel Paese africano la ricorda eccome. A ulteriore conferma, l’ultimo rapporto diffuso da Amnesty International. Giorno dopo giorno, chi si oppone alla “Junta”, finisce nel mirino.

La situazione è precipitata dall’inizio dell’anno a oggi, da quando cioè il Mali è stato scosso nelle sue fondamenta “istituzionali”: i gruppi armati hanno conquistato il Nord del Paese e ora controllano le principali città. Il Sud vive una condizione di profonda instabilità. I metodi utilizzati, com’è facile intuire, fondati sull’uso indiscriminato della violenza, sono sfociati in gravi violazioni dei diritti umani fondamentali, integrando gli estremi di crimini sanzionati dal diritto internazionale: stupri contro donne e ragazze, reclutamento di bambini soldato, distruzione dei siti culturali e religiosi. E, immancabile di fronte a regimi dispotici, costrizione al silenzio di ogni voce dissidente. A partire dai rappresentanti politici del governo democraticamente eletto e sovvertito dalle truppe del capitano Amadou Aya Sanogo (nella foto).

La libertà di stampa è stata la seconda vittima dei ribelli: tutti i giornalisti, maliani o stranieri, che hanno provato a raccontare ciò che hanno visto in questi mesi, sono stati minacciati da individui armati quanto meno “sospetti” che si suppone siano vicini alla giunta militare. Il capitolo più terrificante di questa vicenda riguarda però le esecuzioni extragiudiziali e le sparizioni forzate: le prime testimonianze raccolte da Amnesty fanno gelare il sangue e sono il frutto di una missione delicatissima della durata di dieci giorni, nel luglio scorso, a Bamako, la capitale del Paese.

Solo a maggio, le vittime di sparizione forzata sono state più di venti. In particolare, la notte tra il 2 e il 3 maggio, “verso le diue del mattino, la porta della nostra cella si è aperta. I nostri carcerieri sono entrati e hanno iniziato a leggere una lista di nomi. Uno per uno, i soldati chiamati, sono dovuti uscire. Tra loro c’erano Samba Diarra, il nostro capo e Youba Diarra, con cui solitamente mi allenavo a boxe. Da quel giorno non abbiamo più visto i nostri compagni di cella”. Il racconto è stato raccolto dai delegati di Amnesty: un soldato che apparteneva alla lista ed è miracolosamente scampato perché il camion su cui venivano caricati i prigionieri, bendati e inginocchiati, era già pieno. Le torture sono l’altra faccia della stessa drammatica medaglia: testimoni oculari hanno raccontato di prigionieri legati, feriti e terrorizzati dalla minaccia di vedersi “tagliare la gola” senza alcun motivo.

Il numero dei soldati e poliziotti spariti cresce di giorno in giorno: le madri e le mogli si stanno organizzando per ritrovarli ma le loro ricerche sono state finora vane e le loro richieste di informazioni sulle sorti dei “desaparecidos” inascoltate. Non si contano le denunce di abusi di potere: bastonate, bruciature di sigarette, trascinamenti sono la forma di democrazia che gli uomini di Sanogo intendono imporre nel Paese. Obiettivo: estorcere confessioni. Ma, si dice, anche per “divertimento”.

Chi ha visto cosa succede a Kati, così come in altri campi di detenzione illegali, parla di celle di cinque metri quadrati che contengono anche più di ottanta persone costrette a vivere senza vestiti, privati di cibo per giorni interi, e obbligati fare i loro bisogni dentro borse di plastica. La lista delle torture, contenuta nel rapporto, è lunga e raccapricciante: i racconti in prima persona dei detenuti ascoltati rendono ancora più tetro il quadro. Trattamenti disumani, umilianti e degradanti, che alla violenza fisica uniscono quella psicologica.

Alberto Picci
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