23/01/2013
Un'agenda in dieci punti su questioni improrogabili nella sfera dei diritti umani: non esattamente una richiesta di adesione ai candidati delle coalizioni in campo nella campagna elettorale del Paese, quanto, piuttosto, un invito a prendere posizione su temi che per Amnesty meritano riflessioni serie. «Il benessere di un paese si misura anche dal rispetto dei diritti umani. Oggi, alla luce dei fatti, in Italia questo rispetto non è assicurato – ha dichiarato Christine Weise, presidente di Amnesty International Italia. - Essere donne, partecipare a una manifestazione, essere migranti, rom, gay, detenuti significa rischiare di subire violazioni dei diritti umani. In tempi di crisi economica, con l’aumento delle tensioni sociali da una parte e, dall’altra, l’accento della politica sulle sole questioni finanziarie, questa situazione potrebbe aggravarsi».
«Nonostante i richiami dei comitati internazionali di monitoraggio e le richieste della società civile, le falle del sistema e scelte politiche fuori luogo hanno prodotto in questi anni violazioni, ingiustizia, sofferenza e disgregazione sociale – ha proseguito Weise. Un governo che ha cuore il paese, ha a cuore i diritti umani di chi ci vive e se ne sente responsabile. Un parlamento che intende esercitare pienamente la sua funzione, legifera per la protezione e il benessere di tutti, nel segno dei diritti e del rispetto della dignità di ogni persona. È quello che chiediamo. Nulla di meno» ha concluso Weise.
«Per questo motivo – ha spiegato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia - in occasione delle elezioni del 24 e 25 febbraio, abbiamo deciso di sottoporre ai leader delle coalizioni e delle forze politiche, e a tutti i candidati e le candidate, un vero e proprio programma di riforme nel campo dei diritti umani, basato su 10 richieste prioritarie. Chiediamo a chi si propone alla guida del paese di esprimersi chiaramente su ogni punto, prendendo una posizione netta a riguardo, davanti all’elettorato”.
Di seguito, una sintesi delle proposte di Amnesty.
TRASPARENZA DELLE FORZE DI POLIZIA E REATO DI TORTURA.
"Amnesty International chiede agli stati di assicurare che le forze di polizia operino nel
rispetto degli standard internazionali sull’uso della forza e delle armi, di prevenire violazioni
dei diritti umani e di assicurare indagini e procedimenti imparziali, accurati, equi e
tempestivi per l’accertamento delle responsabilità, quando emergano notizie di violazioni.
A quasi 12 anni dal G8 di Genova del 2001, durante il quale centinaia di persone furono
vittime di gravi violazioni dei diritti umani da parte di centinaia di agenti e funzionari delle
forze di polizia, molti dei responsabili sono sfuggiti alla giustizia e in Italia ancora mancano
importanti strumenti per la prevenzione e la punizione delle violazioni, necessari affinché tutte le forze di polizia siano riconosciute come attori di protezione, trasparenti e
responsabili del proprio operato. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la
responsabilità delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere.
Per
fermare le violazioni dei diritti umani e a beneficio del ruolo centrale della polizia nella loro
protezione, è urgente che le lacune esistenti vengano al più presto colmate.
In particolare, è essenziale che il reato di tortura venga finalmente introdotto nel codice
penale e che venga istituito un meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei
maltrattamenti, obbligo previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la
tortura, ratificato dall’Italia nel 2012.
È altrettanto urgente che vengano introdotte misure di identificazione per gli agenti
impegnati in operazioni di ordine pubblico assicurando che l'identità personale degli stessi
sia tracciabile, ad esempio attraverso l'uso di codici alfanumerici sulle uniformi, come
indicato dal Codice europeo sull’etica della polizia, adottato dal Consiglio d’Europa nel
20014.
Va garantito che gli agenti siano adeguatamente equipaggiati e formati a impiegare metodi non violenti e non letali prima di ricorrere, quando strettamente necessario, a un uso
legittimo e proporzionato della forza e delle armi".
FEMMINICIDIO E VIOLENZA CONTRO LE DONNE
"Nel rapporto sull’Italia pubblicato nel 2012 (in allegato), la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla
violenza contro le donne ha sottolineato gli
alti livelli di violenza domestica e le
crescenti
uccisioni di donne in quanto donne, da parte di uomini, che caratterizzano il paese.
La violenza domestica nella sfera privata
non viene denunciata alla polizia in oltre il 90 per
cento dei casi, così come anche lo stupro, e resta la maggior parte delle volte
completamente invisibile. La violenza domestica sta sfociando, in Italia, in un crescente
numero di uccisioni di donne per violenza misogina. Negli ultimi 10 anni,
il numero di
omicidi da uomo su uomo è diminuito, mentre è aumentato il numero di donne uccise per
mano di un uomo: oltre 100 ogni anno.
In circa la metà dei casi il colpevole è un partner o
ex partner e solo in circostanze rare si tratta di una persona sconosciuta alla donna.
Per contrastare adeguatamente queste violazioni dei diritti umani, le istituzioni italiane
devono
ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011 sulla
violenza contro le donne e devono mettere in campo un impegno serio e determinato per
dare attuazione alle raccomandazioni del rapporto della Relatrice speciale. Tra le richieste,
vi è quella di adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le
donne. Inoltre,
la società e gli organi di informazione dovrebbero essere sensibilizzati sulla violenza
contro le donne, anche al fine di una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli
uomini nei media.
I centri di accoglienza per donne vittime di violenza andrebbero
mantenuti e aumentati, assieme alla garanzia di un adeguato coordinamento tra la
magistratura, la polizia e gli operatori sociosanitari che si occupano della violenza contro le
donne".
RIFUGIATI E MIGRANTI
"Nell'ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l'ansia dell'opinione pubblica
sostenendo che la sicurezza del paese sarebbe minacciata da un'incontrollabile
immigrazione “clandestina” e giustificando in questo modo l'adozione di rigide misure che
hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede
dello sfruttamento7.
Allo stesso tempo, in linea con l’approccio dell’Unione europea, negli ultimi anni l’Italia ha
considerato come una priorità assoluta il rafforzamento delle frontiere a scapito del rispetto
degli obblighi relativi al salvataggio delle vite umane in mare e ha rafforzato le misure di
controllo oltre i propri confini, senza riguardo per i costi umani.
Nel 2011, almeno 1500
uomini, donne e bambini sono annegati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere
l'Europa. In diverse occasioni, l'Italia ha respinto persone verso la Libia, paese in cui sono
state poi arrestate e sottoposte a maltrattamenti. Questa pratica è stata condannata dalla
Corte europea dei diritti umani nel 2012 (caso Hirsi c. Italia). Ciononostante, pochi mesi
dopo, l’Italia ha stipulato con la Libia accordi per il controllo dell’immigrazione analoghi a
quelli conclusi in anni precedenti, su cui si basavano
i respingimenti in Libia. Tali accordi
prevedono la detenzione dei migranti in Libia e non contengono alcuna salvaguardia per la
protezione dei rifugiati nel paese".
CARCERI
"Più volte, nell’ultimo decennio, i comitati internazionali di controllo sui diritti umani, tra cui
il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa e il Comitato contro la
tortura delle Nazioni Unite, hanno segnalato
l’esistenza di un diffuso problema di
sovraffollamento delle carceri italiane, incompatibile con l’obbligo internazionale di garantire
condizioni di detenzione adeguate e rispettose della dignità e dei diritti umani e con il diritto
di non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti.
Come rimarcato in una recente sentenza della Corte europea dei diritti umani (Torreggiani c.
Italia), la sovrappopolazione carceraria in Italia ha carattere strutturale e sistemico,
risultante dal malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano, che ha colpito
moltissime persone ed è incompatibile con la Convenzione europea dei diritti umani. Il tasso
nazionale di sovrappopolazione si aggira intorno al 150 per cento e oltre
il 40 per cento dei
detenuti è costituito da persone sottoposte a carcerazione cautelare in attesa di giudizio.
L’Italia deve garantire condizioni di detenzione dignitose e deve contrastare e prevenire il
sovraffollamento carcerario attraverso una strategia coerente, come raccomandato dal
Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. A tal fine, le politiche penali dovrebbero
prevedere una riduzione del ricorso alla detenzione e un maggiore uso di misure alternative".
OMOFOBIA
"Negli ultimi anni, attacchi verbali e fisici nei confronti delle persone Lgbti (lesbiche, gay,
bisessuali, transgender e intersessuate) si sono verificati in Italia con preoccupante
frequenza, mentre diversi esponenti politici e istituzionali hanno continuato a fomentare un
clima d’intolleranza e di odio con dichiarazioni palesemente omofobe.
La legge penale italiana antidiscriminazione prevede pene aggravate per crimini di odio
basati sull’etnia, razza, nazionalità, lingua o religione, ma non tratta allo stesso modo quelli
motivati da finalità di discriminazione per l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Inoltre, a causa della medesima
lacuna della legge antidiscriminazione, l’incitamento a
commettere atti o provocazioni di violenza omofobica e transfobica non è perseguibile come
altre forme di incitamento alla violenza discriminatoria 16 . Questa situazione rischia di
favorire l’aumento di intolleranza e violenza verso le persone Lgbti, tuttavia la lacuna
legislativa non è stata sinora colmata".
Il principio di non discriminazione, sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani17, da
numerose convenzioni delle Nazioni Unite e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea18, garantisce parità di trattamento tra le persone e stabilisce il divieto di qualsiasi
forma di discriminazione, anche quella basata sull’orientamento sessuale".
SGOMBERI FORZATI E SEGREGAZIONE ETNICA DEI ROM
"I rom in Italia restano tra le comunità maggiormente discriminate ed escluse dal godimento
dei diritti umani. Solo nell’ultimo anno,
centinaia di rom sono stati sgomberati e lasciati
senza dimora. Piani per la chiusura di diversi campi autorizzati o “tollerati” continuano a
essere applicati senza salvaguardie, mentre le condizioni di vita nella maggior parte dei
campi autorizzati restano gravemente disagiate, poiché le autorità non hanno agito per
migliorarle. Nei
campi informali la situazione è ancora peggiore, con scarso accesso ad
acqua, servizi igienico-sanitari e fornitura elettrica. La segregazione etnica nei campi si
perpetua e i rom restano vittime di un diffuso pregiudizio, come segnalato nel 2012 dal
Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale.
L’accesso a un alloggio adeguato e ai diritti umani è essenziale per l’inclusione sociale di
questa comunità. Per questo motivo
gli sgomberi forzati vanno fermati e proibiti per legge e
il sistema dei campi va superato, evitando che questo comporti una riduzione dell’accesso
dei rom a un alloggio adeguato. È, inoltre, urgente
rimuovere gli ostacoli discriminatori per i
rom e altri gruppi emarginati nell’accesso all’edilizia residenziale pubblica".
ISTITUZIONE NAZIONALE INDIPENDENTE PER LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
"Le Nazioni Unite sottolineano da decenni quanto sia fondamentale per proteggere i diritti
umani a livello nazionale che gli stati si dotino di un’istituzione nazionale dedicata, in linea
con i “Principi di Parigi” adottati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993:
indipendente, dotata di poteri e risorse adeguati, pluralista nella composizione, accessibile,
e con un mandato ampio, relativo a tutti i diritti umani internazionalmente riconosciuti.
Un organismo di questo tipo garantisce un monitoraggio costante della situazione dei diritti
umani nel paese, suggerisce modifiche al sistema, indica soluzioni. L’Italia ha finora fallito in questo compito, nonostante le ripetute raccomandazioni di
organismi internazionali, incluso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel corso
dell’ultima Revisione periodica universale del 201025 . La creazione di questa istituzione
deve essere una priorità per il prossimo governo e parlamento".
MULTINAZIONALI E DIRITTI UMANI
È invece necessario prevenire e perseguire gli abusi e
garantire l’accesso alla
giustizia a chi viene colpito dall’attività delle multinazionali. I governi dei paesi in cui le
imprese hanno sede hanno un ruolo cruciale per far sì che le multinazionali rispettino i
diritti umani e vengano chiamate a rispondere del loro operato.
Come raccomandato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, è necessario
colmare i vuoti di legislazione e di controllo sull’operato delle imprese multinazionali, vuoti
che attualmente fanno sì che le multinazionali non siano chiamate a rispondere delle loro
operazioni e agiscano in una sostanziale impunità. Un ruolo importante per colmare tali
vuoti normativi lo hanno, sul piano nazionale, gli stati nel cui territorio le imprese hanno
sede.
Essi dovrebbero innanzitutto adottare misure normative applicabili alle aziende con
effetti extraterritoriali, tali da imporre il rispetto dei diritti umani in tutti i paesi nei quali
queste operano e l’adozione nelle loro operazioni delle misure necessarie alla salvaguardia
dei diritti umani (due diligence), tra cui una regolare valutazione, anche preventiva,
dell’impatto delle operazioni sui diritti umani.
Gli stati dovrebbero obbligare le aziende a rendere pubbliche le informazioni rilevanti per
valutare l’eventuale impatto negativo delle proprie operazioni, presente o futuro.
Parallelamente, gli stati dovrebbero applicare adeguatamente le leggi già esistenti che
consentano di accertare le responsabilità delle aziende e porre una specifica attenzione alla
protezione di gruppi particolarmente vulnerabili, tra cui le donne, i bambini, le popolazioni
native e i difensori dei diritti umani.
Riguardo alle aziende multinazionali che appartengono in tutto o in parte allo stato o che
ricevono aiuti statali, un metodo concreto di imporre il rispetto dei diritti umani è
subordinare a tale condizione il supporto economico.
PENA DI MORTE E PROMOZIONE DIRITTI UMANI
"L’Italia ha giocato un ruolo chiave nel quadro multilaterale e in particolare presso le Nazioni
Unite, in
favore dell’adozione di risoluzioni per la moratoria sull’uso della pena di morte.
Anche grazie ai forti richiami contenuti nelle risoluzioni dell’Assemblea generale delle
Nazioni Unite per le quali il governo italiano si è attivamente speso, oggi più di due terzi dei
paesi al mondo hanno abolito la pena capitale per legge o di fatto, portando i paesi
abolizionisti (attualmente 140) in netto vantaggio rispetto a quelli mantenitori. Questo
impegno dovrebbe proseguire, puntando a un continuo allargamento del gruppo degli stati
sostenitori della moratoria.
Analoga attenzione dovrebbe essere attribuita alla lotta contro la pena di morte quando i
rappresentanti del governo italiano incontrino a livello bilaterale governi di paesi mantenitori
della pena di morte, come ad esempio Giappone, Cina e Stati Uniti.
Le
consolidate relazioni con la Libia e i paesi del Corno d’Africa, così come i rapporti con
gli stati dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, attraversati da conflitti o interessati da
una transizione verso un nuovo assetto, impongono all’Italia un’attenzione specifica. Ogni
sforzo andrebbe compiuto per favorire uno sbocco di tali percorsi verso legislazioni e sistemi
in cui i diritti umani, tra cui quelli delle donne e dei difensori dei diritti umani, e più in
generale il pluralismo e la libertà di espressione, vengano garantiti.
Lo stesso livello di attenzione è richiesto nelle relazioni interne all’Europa:
i rapporti con la
Russia, la Bielorussia, la Turchia, l’Azerbaigian tra gli altri, non possono prescindere da
un’attenzione specifica alla situazione dei diritti umani in tali paesi. Lo stesso vale, al di
fuori dell’Europa, per paesi governati da regimi autoritari come il
Kazakistan, interessati da
fasi di transizione come il
Myanmar o destinati, in ragione della loro economia, a giocare un
ruolo sempre più importante sulla scena internazionale, come
Cina, India e Brasile.
COMMERCIO DELLE ARMI
"Amnesty International è impegnata da quasi 20 anni per
l'approvazione di un Trattato
internazionale sul commercio di armi, nella convinzione che vi sia un disperato bisogno di
porre fine a un commercio di armi irresponsabile e scarsamente regolamentato, circostanza
che ha causato la morte, il ferimento, lo stupro e la fuga dalle loro terre di milioni di
persone.
In particolare, l'assenza di adeguati controlli comporta che le armi finiscono nelle mani di
governi e gruppi armati che continuano a colpire le popolazioni civili, come in Afghanistan,
Colombia, Repubblica Democratica del Congo e Somalia.
Nel luglio del 2012, soprattutto a causa dell’
opposizione di Cina, Russia e Stati Uniti, è
stata rinviata l’approvazione di quello che avrebbe potuto essere uno storico accordo per
porre fine all'irresponsabile commercio di armi. Un’occasione persa mentre le uccisioni dei
civili in Siria occupavano i titoli dei notiziari e a dispetto della triste statistica di un morto al
minuto, nel mondo, a causa della violenza armata".
Alberto Picci