11/04/2012
L'Osservatorio sulle risorse umane nel Nonprofit (Onrup),
sostenuto dalla Fondazione Sodalitas e da Hay Group, ha presentato oggi a
Milano i risultati della IV Indagine sulle prassi gestionali e retributive nel
Terzo Settore. L'analisi ha interessato circa 20mila lavoratori retribuiti e
126 organizzazioni del mondo Nonprofit così distribuite: 44 tra associazioni e
fondazioni, 36 organizzazioni non governative, 25 cooperative sociali e 21 tra
Consorzi e Associazioni di 2° e 3° livello. Tra i diversi temi affrontati,
quello del "Welfare territoriale" sembra avere le potenzialità di
espansione maggiore in uno scenario che vede la progressiva diminuzione delle
risorse disponibili e una crescita costante dei bisogni. Da qui, dunque,
l'esigenza di investire in iniziative innovative e fantasiose. Franca Maino,
professoressa dell'Università degli Studi di Milano, ha parlato a questo
proposito di una triplice sfida: nuovi rischi, vincoli di bilancio e
l'immancabile crisi economico-finanziaria globale. Il punto è che tutti gli
indici di riferimento del mercato del lavoro sembrano confermare che il Welfare
tradizionale non ha dato risposte adeguate e, per questo, è andato acquisendo
progressiva importanza una sorta di "secondo Welfare", integrativo e
non sostitutivo, che però fosse in grado di offrire prestazioni e servizi in
modo "alternativo".
In un Paese come l'Italia dove le nascite sono in
diminuzione, dove le donne sono molto meno coinvolte nel mondo del lavoro
rispetto ad altri Paesi europei, dove i servizi dell'infanzia sono a dir poco
scarsi, le famiglie devono farsi carico della non autosufficienza di qualcuno
dei suoi componenti. Che sia dovuta a questioni lavorative, economiche, di
salute ecc. D'altro canto i fondi nazionali per le politiche sociali continuano
a calare e in questo senso gli enti locali possono, anzi devono, assumere un
ruolo centrale. Con il secondo Welfare si fa contestualmente riferimento a
quegli interventi di protezione ma anche di investimento sociale che prevedono
finanziamenti non pubblici alla cui fonte si pongono imprese, assicurazioni
private, fondi di categoria, fondazioni, realtà del Terzo Settore tutti
collegati in reti, in virtù di un forte ancoraggio territoriale. Le istituzioni
presenti sul territorio diventano indispensabili nel momento in cui riescono,
nonostante i vincoli di spesa centralizzata, a creare partnership tra quante
più "anime" locali. Si può dire che l'incastro tra i due Welfare
funziona solo se il risultato è un miglioramento delle condizioni dei soggetti
più deboli.
Stefano Granata è il vice
presidente del Consorzio cooperativo CGM, la più vasta rete di imprese sociali
in Italia che raggruppa 40mila persone e che ha una percentuale inusuale per
l'Italia di donne occupate (70%) e in ruoli dirigenziali (60%): «Il punto è
riuscire a utilizzare e mettere a frutto tutti i punti di forza di un
territorio creando un'interconnessione tra le diverse realtà che ci vivono,
raggruppando i bisogni, individuando delle priorità sempre in una logica di
inclusione sociale». Il Consorzio è ormai operativo in quasi tutte le Province
italiane, anche in quelle poco o per nulla produttive: la mission è offrire servizi alla persona e reinserire al lavoro
soggetti disagiati. Facile a dirsi e, nel caso del Consorzio, anche a farsi. Il
primo esempio viene da Messina, una realtà che è eufemistico definire poco
produttiva: bene, proprio qui il Consorzio ha dato origine a una fondazione di
comunità che ora coinvolge diversi attori locali al fine di promuovere
politiche incentrate sulla legalità e, contestualmente, costruire un polo
tecnologico sperimentale sulle energie rinnovabili capace di dare lavoro a 25
degenti psichiatrici, che, da "peso" per il sistema, diventano
risorse. Il passo successivo è stato l'avvicinamento al Consorzio di realtà
provenienti dal mondo profit, che sulla scorta di questo esempio hanno
recuperato fiducia nel mercato e stanno scendendo in campo per sperimentare
soluzioni simili. Una sorta di volàno dell'economia messinese nato da
un'intuizione semplice ma efficace e coraggiosa. Un altro caso emblematico
delle potenzialità del secondo Welfare viene dalla Lucania dove due consorzi
del Gruppo hanno scelto di investire nel brand "Panecotto", che a
pochi mesi dalla sua nascita ha visto l'apertura di 5 store in un territorio in
cui, ci tiene a specificare Granata, «generare impresa è praticamente
impossibile». Il progetto ha avuto la forza di rimettere in moto quella realtà
semisommersa di piccole attività agricole territoriali che non trovavano più
spazio nei canonici canali distributivi e oggi invece tornano a immaginare un
futuro migliore. Ultimo esempio portato da Granata è quello di "Welfare
Italia": poliambulatori medici e odontoiatrici distribuiti su tutto il
territorio nazionale che garantiscono prestazioni di eccellenza professionale a
prezzi equi.
Paolo Percassi è invece il presidente di Comipa Consorzio
tra mutue italiane di previdenza e assistenza ed è testimone attivo delle
potenzialità che il territorio può sfruttare combinandosi nel modo ottimale con
le istituzioni, il variegato mondo del Terzo Settore e la cittadinanza: «GardaVita, società di mutuo soccorso creata dalla Banca di credito cooperativo del
Garda, è stata l'inizio di tutto: con 15mila assistiti sul territorio del lago
di Garda siamo in grado di offrire ai nostri soci convenzioni vantaggiose con
soggetti no profit per quello che concerne l'ambito sanitario, promuoviamo
campagne di sensibilizzazione sul tema della prevenzione, provvediamo ai
rimborsi delle spese mediche, sosteniamo l'acquisto di materiale scolastico o
altri momenti della vita dei nostri soci che altrimenti sarebbero, da soli,
costretti a fronteggiare costi molto più elevati». Si tratta di una sorta di
contrattazione collettiva per servizi da cui, altrimenti, sarebbero esclusi
proprio i soggetti più deboli. L'esperienza del Garda è stata replicata con
successo in altri 40 territori.
Un Welfare virtuoso in cui trova
spazio, per esempio, anche una realtà come quella della Asl di Brescia dove i
fruitori finali del servizio sono diventati parte della soluzione del problema.
Stiamo parlando infatti di una realtà in cui ci sono 1150 cittadini di cui
prendersi cura, con 3000 malati cronici, 86 rsa, 6000 posti letto, 4000 persone
in lista d'attesa. La verità è che almeno 1700 persone potrebbero non avere
bisogno della Asl in maniera tradizionale e nello stesso tempo potrebbero
godere dei suoi servizi attraverso le comunità residenziali, strutture
destinate ad anziani con sufficienti livelli di autonomia e bisogni
diversificati, di ordine non solo abitativo, ma anche psicologico, relazionale,
assistenziale, sanitario e sociale. L'obiettivo del servizio è ritardare e
contenere l'ingresso nelle rsa già sovraffollate e peraltro molto costose,
valorizzando il ruolo della famiglia e delle reti territoriali di solidarietà,
dalla sorveglianza notturna all'animazione fino ai trasporti c'è spazio per chiunque
voglia dare una mano. Il costo giornaliero è di 40 euro: con queste garanzie di
professionalità è impossibile trovare soluzioni a una cifra inferiore.
Alberto Picci